WILLIAM ELLIOTT WHITMORE: “I’m With You” cover albumUn uomo armato solo di un banjo, di una chitarra elettrica e di una grancassa può generare un’energia formidabile, se il suo nome è William Elliott Whitmore. Dotato di una voce potente e roca, il musicista che ancora vive nella fattoria di famiglia sita nella contea di Lee, in Iowa, dove è nato e cresciuto, pubblica il suo ottavo album incentrandolo sui temi della sintonia e della comunanza con la famiglia, gli amici e il resto della collettività umana: “I’m With You” lo conferma artista sui generis, un po’ predicatore punk rock un po’ filosofo di campagna, mostrando l’intenzione di allargare gli orizzonti del suo linguaggio folk con un disco in cui – dopo la parentesi dell’album di cover pubblicato nel 2018 (“Kilonova”) – torna a comporre materiale originale danzabile e trascinante da “Radium Death” del 2015 dato alle stampe da ANTI prima che il cantautore si trasferisse alla Bloodshot.

Whitmore allarga l’orizzonte delle sue canzoni popolari True North e twangy punk-up country, aiutato dalla sua voce stanca del mondo, dal banjo country e dalla chitarra strimpellata.

Prima della recente comparsa di artisti blues folk country come Colter Wall e Ian Noe, William Elliott Whitmore è stato uno degli originali a mettersi in strada come one man band con una grancassa e un arsenale di strumenti a corda, cantando con l’anima in un registro basso fluttuante che ha risvegliato i fantasmi del passato della musica americana. Dato che era troppo folk per il country e troppo blues per il folk, Whitmore spesso si ritrovò ad aprire per gruppi punk e a diffondere il gospel della musica roots ai nuovi convertiti. Il nostro riesce a combinare Merle Haggard con Mike Watt (Minutemen).

Un paio di cose rendono l’annuncio del nuovo album particolarmente interessante. In primo luogo, segnala che Bloodshot Records continua ad essere lungimirante e condurre la propria attività nonostante alcuni recenti drammi che coinvolgono la proprietà dell’etichetta. In secondo luogo, la canzone di debutto che William ha pubblicato dal disco intitolata “My Mind Can Be Cruel To Me” ha un cuore molto più country rispetto alla maggior parte del suo materiale precedente e trova Whitmore che canta in un registro leggermente più alto rispetto a quando intona pezzi blues o folk.

Si apre con “Put it To Use”, una vera vetrina sia del talento di scrittura per cui è noto Whitmore sia di quella voce distintiva, che si combina per dire all’ascoltatore che il tempo e il talento non devono essere sprecati. La canzone è un buon consiglio con un banjo che guida duro, e subito ci si ritrova a cantare la canzone dal secondo ritornello. L’intero album è una conversazione tra il cantautore di Lee e qualcuno del suo passato o presente. Come la ragazza di una famiglia di contadini, questo colpisce e dà l’idea della profondità della scrittura. L’idea del tempo risuona per la maggior parte dell’album, in modi sia ovvi che più sfumati. Non sorprende che questo disco sia una raccolta di storie. Whitmore è un papà ora e un ragazzo dell’Iowa, quindi il passare del tempo, le storie e i ricordi sono cose che gli stanno a cuore. “History” è un altro vero pezzo forte dell’album, e la pedal steel dà ancora quella sensazione di trasportarti in un punto lontano, pur rimanendo ancorato al presente. Questo disco fa questo, più e più volte: ti ferma, ti fa ascoltare, ti fa sentire come se queste canzoni fossero fugaci e preziose, che dovresti davvero ascoltare. Se il tempo è effimero, questa canzone in particolare mantiene il contatto con la realtà. L’album termina con l’unica cosa che rimane: “Black Iowa Dirt”. Ci ricorda che la terra ci lega insieme, ci fa nascere e alla fine ci seppellisce. Perfetto per la chiusura di un’opera che rappresenta un commento sul mondo!!!


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