Che gran bel gruppo sono (stati) i Willard Grant Conspiracy, una delle più emozionanti e capaci band del panorama folk-rock statunitense.
Ancora ricordo il loro concerto all’inizio degli anni ’00 in un locale del reggiano, in cui tennero uno splendido spettacolo per pochi intimi, perché la maggior parte degli avventori si trovava li per caso a bere e a schiamazzare. Bella la scenetta di un incazzato Robert Fisher mettere i pugni su un tavolo attaccato al palco e chiedere alle persone sedute di fare silenzio perché altrimenti non riusciva a concentrarsi. Da quel momento dal tavolo non volò più nemmeno una mosca.
Purtroppo Robert non è più tra noi da un anno, dal 12 febbraio, ma ha fatto in tempo a registrare un ultimo valzer dal titolo “Untethered”, che è stato portato a termine nello studio di Dave Michael Curry in poche settimane, tra l’autunno del 2016 e l’inverno successivo, proprio poco prima della tragica dipartita.
Si tratta di un album che non si discosta dai precedenti, ma traspare chiara la rabbia per qualcosa di ineluttabile. Sotto il profilo strettamente musicale, l’album prosegue nella ricerca di una dimensione sonora più semplice, avviata dalla band nel 2009 con l’album “Paper Covers Stone” e l’EP “Trunk In The Attic” e proseguita quattro anni più tardi con “Ghost Republic”. Dal punto di vista lirico “Untethered” esplora le relazioni tra le persone, i sogni ad occhi aperti e i desideri, le svolte del destino, la fede, e soprattutto il senso della morte.
Un disco dall’intensità unica, un lavoro che indaga i più remoti angoli dell’americana, muovendosi tra torch songs ed elettrizzanti narrazioni. Tanti i contributi, gli archi di Curry come le tante chitarre di Steve Wynn, Chris Brokaw, Jason Victor, un’opera che rivela tutta la propria fierezza e potenza, e, insieme, fragilità.
Un commiato commovente!!!


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