È davvero un’esperienza piacevole sia per l’etichetta che per l’artista quando il successo commerciale di un album supera le aspettative, come nel caso di “Ballroom Stories”, che lentamente è passato da rappresentare una scelta da intenditore ad essere un bestseller a lungo termine.
Non c’è da stupirsi che Waldeck abbia avuto poca propensione a cavalcare l’onda che ha contribuito a creare. È ben noto che non si dovrebbe saltare sul carro del vincitore, neanche se ne siamo stati gli artefici principali.
La nascita di “Atlantic Ballroom”: ricordo del passato.
Waldeck si rifiuta di riscaldare vecchie minestre e crea una nuova sala da ballo sorprendentemente rinfrescante. L’ascoltatore, non sente niente della laboriosa creazione e viene immediatamente attirato sotto l’incantesimo della “Atlantic Ballroom”. C’è un senso di ottimismo. Come per le uscite precedenti, Waldeck sottolinea la sua capacità di creare un nuovo universo sonoro. La musica ti fa sentire come se ricordassi qualcosa che in realtà non hai mai sperimentato.
Il nostro gioca con riff di jazz fumoso e motivi di pianoforte bluesy. Si sente un pizzico di elettronica viennese, ma il riferimento è discreto. Le influenze musicali di Waldeck per questo album vanno da Henry Mancini, John Barry, Wes Montgomery, Fats Waller, Lalo Schiffrin a Dave Brubeck.


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