ULVER- “Flowers Of Evil” cover albumUlver (parola norvegese per lupi) è il collettivo norvegese di musica sperimentale fondato nel 1993 dal cantante Kristoffer Ryggcome una black metal band con influenze folk, ma da allora il sound si è modificato in maniera fluida ed esponenziale, arrivando ad attingere e mescolare generi come rock, elettronica, tradizioni sinfoniche e da camera, noise, progressive e musica sperimentale. Nel Parco dei Mostri di Bomarzo, nel Lazio, il pavimento è disseminato di teste mostruose e figure mitiche, un parco fatto realizzare da Vicino Orsini, un nobile del XVI secolo. “Flowers of Evil”, il nuovo album in studio degli Ulver, trova il branco di lupi che esplora la paura e la meraviglia della caduta dell’umanità dalla redenzione, con visioni simili a quelle di Orsini. Se il precedente “The Assassination of Julius Caesar” aveva fatto coniare la definizione DOOM DANCE, il nuovo si presenta come una progressione del percorso tracciato da quell’album, rivelando una band che si muove più in profondità nei beat e nei groove, nei ganci e nei cori, nei sintetizzatori e nelle chitarre, ma che suona più spogliata, lasciando spazio al dettaglio distintivo. Ancora una volta Michael Rendall (The Orb) e il leggendario produttore Martin “Youth” Glover hanno curato il mix in modo cristallino.

Il nuovo album è disponibile in formato CD e vinile, oltre che in una edizione che, oltre al disco in vinile e in CD, conterrà diverso materiale tra cui l’esclusivo “Wolves Evolve: The Ulver Story“, libro di 336 pagine che ripercorre la storia degli Ulver e che è ricco di fotografie, interviste e documenti esclusivi.

La proposta che i nostri ci elargiscono è un synthpop vecchia maniera che saltuariamente lascia spazio ad art pop e synthwave con toni molto oscuri, probabilmente ispirati dal Bosco di Bomarzo.

Un disco che pare un abisso morbido, urgente nella durata quanto profondo nelle intenzioni. Fa male il pianoforte che lambisce “A Thousand Cuts”, stretta tra sesso e morte, bagnate da un mare crudele e freddo che rotola sulle passioni; “Machine Guns And Peacock Feathers” palpita tra le ceneri di una Bibbia e dei suoi racconti che diventano ritornelli fatti di immensità, persi tra le malattie dell’era moderna elencati sulle ali del soul; ballando in una chiesa in fiamme mentre fuori risuona “One Last Dance”, mentre all’intelaiatura si uniscono i filamenti di chitarra di Fennesz, maestro indiscusso dell’atmosfera. “Apocalypse 1993” è un tagliente rasoio funk che guarda ad un Paradiso che brucia, senza Santi né Predicatori; “Nostalgia” e “Russian Doll” sono lo sguardo che si posa lacrimevole su una cassetta riavvolta verso ieri, in quell’epoca estinta, l’epoca in cui gli Ulver sembrano trovarsi a loro agio come mai lo sono stati nella loro carriera.

Per chi ama le sonorità anni ’80 troverà tutto ciò che lo ha sempre appassionato e continuerà a riavvolgere il nastro per riascoltarlo all’infinito, per tutti gli altri un disco da prendere con le dovute precauzioni perché potrebbe apparire un po’ troppo derivativo!!!


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