STIFF RICHARDS: “State Of Mind” cover albumStiff Richards, chi diavolo sono costoro? Trattasi di una giovane band australiana (Melbourne, per la precisione) capace di risalire la corrente del glorioso garage-punk di una quarantina d’anni fa, forse di più, soltanto per il gusto di sbatterti sul piatto un disco che non ha nulla da invidiare a qualche collega ben più noto.

Beh, di loro si sa poco. Poche migliaia di ascoltatori sulle piattaforme streaming (seimila al momento, manco l’ultimo degli it-popper), una vecchia intervista da sbronzi sepolta tra i contenuti di una webzine locale, recensioni entusiaste di qualche vecchio rocker (per lo più straniero) e nulla d’altro.

Eppure ho la sensazione, ma potrei facilmente sbagliarmi, che questi cinque squinternati abbiano tutte le carte in regola per farsi strada, quantomeno nella loro nicchia. “State of Mind” è il loro terzo disco. Nemmeno un anno fa avevano dato alle stampe “DIG”, una scheggia di barbaro punk ‘n’ roll piuttosto notevole. Questo nuovo lavoro si discosta lievemente dal predecessore, per riappropriarsi dello stile più casalingo, e per certi versi più melodico, dell’omonimo album d’esordio del 2017. All’interno ci troverete una dose massiccia di rabbia, una voce heavy blues da raschietto alla gola, tanta chitarra come da tradizione e un basso incalzante sempre in prima linea.

Sicuramente il nuovo lavoro è il disco più maturo dei ragazzi australiani, ancora una volta aspettatevi i fuochi d’artificio dagli Stiff Richards (tra l’altro un nome veramente azzeccato, facile da memorizzare), che si materializza all’improvviso per una trentina di minuti in cui non c’è spazio per altro che non siano questi nove brani veloci, furiosi, ricchi di verve e dalla scrittura incisiva.

La band è nelle mani del carismatico cantante Wolfgang Buckley e si può affermare, con sicurezza, che pur suonando punk-rock, non risultano in alcun modo retrò. Hanno indovinato una formula in cui si possono scorgere tratti che richiamano i Fugazi (“State of Mind”) con un uso delle chitarre intrecciate che sembrano rincorrersi, si può riconoscere quella impetuosità che era la caratteristica dei New Bomb Turks (“Talk”), le geometrie affilate dei Wire (“Mr. Situation”), ma la resa finale è solo loro, assai personale.

Rabbia, frustrazione e noia vengono trasformate in urgenza espressiva dai cinque ventenni australiani. Sanno anche rallentare dal loro attacco sonico, come dimostra il brano “Got it to Go”, veramente magistrale e apparso su singolo qualche mese fa.

Una scoperta da non lasciarsi sfuggire, bravi davvero!!!


Category
Tags

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *