RATS ON RAFTS: “Excerpts From Chapter 3: The Mind Runs A Net Of Rabbit Paths” cover albumÈ un post-punk atipico, ma non troppo, quello degli olandesi Rats On Raft, reso lievemente più criptico dalla natura di concept-album, ovvero da quella di potenziale e surreale colonna sonora di un libro immaginario, ma non troppo. L’album è parzialmente ispirato al tour del Giappone del 2018 della band, che si esibisce nelle arene aprendo per i Franz Ferdinand.

Espandendo il suono noise-rock strutturale del loro precedente disco, i lunghi estratti dal titolo stravagante del “Chapter 3: The Mind Runs a Net of Rabbit Paths” sono un’ambiziosa quasi-opera che prende spunto da Krautrock, psichedelia e avanguardia pop sulla scia di Van Dyke Parks e Scott Walker. Intrecciati in tutte le canzoni sono effetti sonori che rappresentano gli elementi, narrazioni inveite e intermezzi onirici. In termini musicali si direbbe che a suonare siano almeno in venticinque, la creazione meticolosa di un tetris musicale strutturalmente ad alti livelli, gli incastri vocali, un muro sonoro che evoca i primissimi Echo & The Bunnymen (difficile esimersi dal citare i riferimenti) ma anche tante soprese e contaminazioni che rifuggono dall’autocompiacimento ormai raggiunto dai gruppi madre e trovano invece un degno compimento nell’ascolto delle canzoni.

Aprendo con un crescendo di melodie di chitarra dal suono orientale, la band si lancia nel trionfante “A Trail of Wind and Fire”, un viaggio motorik con un coro travolgente di “We’ll destroy again!” “Tokyo Music Experience”, un elegante ma grintoso piano-shaker, porta avanti in un modo simile ad una più Kraftwerkiana B-52 suonata in un garage pieno di amplificatori fumanti a buon mercato.

“The Rise and Fall of the Plague” illustra una storia che narra di curiosare in un magazzino governativo alla ricerca di file segreti e catturare informatori. Il lento e ondeggiante psych-pop di “Fragments”, con il suo resistente grido di battaglia ‘Never free’, precede “The Disappearance of Dr. Duplicate”, un maniaco acid-punk intriso di messaggi al contrario e colpi di scena.

“Where Is My Dream?” è il momento più catartico dell’album, un racconto di crisi d’identità che scivola brevemente in un riposo beato prima di essere svegliato con ululati da incubo e ritmi furiosi. Il tratto finale del disco è il più drammatico, con il picco creato dall’epica noise-prog “Part Two: Crossing the Desert” che mi ha portato alla mente gli Oh-Sees.

Sebbene sia ovvio che il gruppo abbia dedicato molto tempo e sforzi alla concettualizzazione del disco e alla realizzazione dei suoi audaci paesaggi sonori, è estremamente difficile seguire le storie, e non è chiaro se tutto dovrebbe sommarsi a qualcosa, e cosa tutto questo si intende. L’epilogo sembra affrontare questo, poiché il narratore menziona di essere stato costretto a iniziare una nuova vita, e tutti i personaggi che ha incontrato sono finiti come semplici invenzioni della sua immaginazione. Anche se un po’confuso, con momenti in cui il suono risulta troppo gonfio a causa dell’uso simultaneo di tastiere, cori, chitarre, il disco invita sicuramente il pubblico ad ascoltare attentamente e capire i messaggi contenuti. Niente che non possa essere ritenuto che un piccolo peccato per un lavoro da non prendere sottogamba!!!


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