JOHN CARPENTER: “Lost Themes III: Alive After Death” cover albumLa fama, forse anche l’immortalità, John Carpenter se la è presa grazie al cinema. Proprio per i suoi film, però, il regista americano ha quasi sempre scritto persino le relative colonne sonore, applicandosi alle trame elettroniche come un autentico punk del sintetizzatore analogico – e finendo in conclusione per creare un canone stilistico anche a livello musicale. Ed è dal 2015 che, a parte la composizione di “Halloween: Original Motion Picture Soundtrack”, titolo diretto da David Gordon Green ma appartenente al franchise da lui generato, ‘The Master Of Horror’ ha inaugurato un’ulteriore avventura, quella della stesura di brani per pellicole in realtà non esistenti, mai girate, proiettate soltanto dalla sua fantasia a quella degli ascoltatori. A “Lost Themes”, ottimo e a suo modo sorprendente, aveva così fatto seguito un anno dopo “Lost Themes II”, supportato addirittura da un tour. Adesso siamo arrivati a “Lost Themes III: Alive After Death”, il primo capitolo provvisto di un sottotitolo.

Considerando che le preoccupazioni creative di un regista sono simili a quelle che emergono quando si crea un album, non ti aspetteresti che il passaggio dal film alla musica sia un salto così grande. In realtà, l’elenco dei registi di successo diventati musicisti è relativamente breve. Mentre alcuni registi si sono divertiti (David Lynch, Charlie Chaplin), John Carpenter ha trasmesso le sue visioni attraverso la musica dalla fine degli anni ’70. Dopo aver armeggiato e perfezionato il suo suono caratteristico con l’assistenza di suo figlio Cody e del figlioccio Daniel Davies nel corso della serie Lost Themes, Carpenter ha probabilmente fatto la sua dichiarazione definitiva come musicista sotto forma di questa nuova pubblicazione.

Nell’apertura “Alive After Death”, John e Cody segnalano che qualcosa di malevolo è in stretta prossimità con la melodia semplice, ma inquietante che forma il battito del brano. La trepidazione alla fine si addolcisce prima che la traccia venga posseduta dagli accordi lamentosi di Davies che suonano come lingue musicali che urlano nel vuoto. Fin dall’inizio si può dire che i tre, di loro, hanno formato un triangolo di tacita comprensione, una singola cellula con Carpenter come nucleo caricato elettricamente. Sotto il suo sguardo da regista, le canzoni raccolgono e sovrappongono elementi pezzo per pezzo come lo svelamento di una luna dietro le nuvole Mentre l’intero album percorre strade spettrali familiari, si dirama anche in altri luoghi tortuosi che aprono nuovi paesaggi per farti lasciare la tua immaginazione sciolta.

In “The Dead Walk” organi e campioni gotici portano il pubblico attraverso umide catacombe e chiese ammuffite, prima che Davies intervenga con la sua chitarra, alzando la posta in gioco e facendo pompare il sangue. Poi c’è il rimbalzo tra mormorii cupi e ripetizioni di synth ad alto tempo in “Weeping Ghost” che sembra una luce rifratta che ti colpisce da ogni angolazione in un labirinto di specchi.

Si potrebbe andare avanti e descrivere ogni traccia, ma credo che ognuno saprà ricavare una propria immaginazione dal suono che i nostri propongono. La capacità di John è quella di ricavare il massimo dal poco di ingredienti con cui lavora e, nel farlo, distilla veramente l’essenza del suo mestiere!!!


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