Il termine new age credo faccia arricciare il naso a parecchi ascoltatori. Spesso si vuole indicare quel genere musicale che prese corpo in modo consistente negli anni 80 che proponeva un suono stereotipato il cui scopo era quello di accompagnare le persone in centri benessere.
Non è il caso del disco di Randall che possiamo considerare musicista new age, ma di quella primigenia che è legata fortemente al minimalismo estatico.
Lo possiamo collocare a fianco di altri autori, recentemente riscoperti, quali J.D. Emmanuel, Ariel Kalma, Jordan De La Sierra grazie al meritevole lavoro di riscoperta messo in opera da etichette come la RVNG, Numero Group, Black Sweat e Aguirre.
McLennan è sempre stato una figura appartata che si è dedicato anima e corpo allo sviluppo e alla ricerca di una forma di “healing music” fin dagli anni sessanta.
Evidente è l’influenza di minimalisti storici quali Terry Riley e La Monte Young, così come forti sono le reminiscenze della musica indiana nonché l’uso di sostanze psichedeliche atte ad espandere i confini della conoscenza e della coscienza.
Suonava in luoghi confortevoli ed avvolti dalla penombra per ascoltatori che desideravano perdersi nei flussi musicali che generava. Fu così che, a ridosso del 1983, compilò quattro cassette in tiratura limitata per rendere l’esperienza di quell’ascolto il più alla portata di tutti.
Il nostro utilizzava synth e voci capaci di creare un ambiente sonoro profondo e in grado di far sprofondare l’ascoltatore in un mondo di pace e serenità.
Un disco in grado di conquistare per la sua celestiale bellezza.


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