Di solito i dischi della Jagjaguwar non mi tradiscono mai. È infatti una delle etichette indie più interessanti, con proposte che hanno sempre sollecitato le mie orecchie. Mi metto quindi all’ascolto dell’album di Moses Sumney ‘Aromanticism’ e rimango piuttosto sorpreso. Il primo ascolto mi da la sensazione di trovarmi davanti ad un lavoro di moderno r’n’b, quindi piuttosto distante dalle cose solitamente proposte dall’etichetta di cui sopra. Moses è un musicista ghanese-californiano, si cominciò a parlare di lui nel 2014 grazie ad uno stile inconfondibile e ad una presenza scenica capace di creare grandi emozioni nel pubblico. Ha subito trovato agganci giusti, di lui parlano positivamente David Byrne, Sufjan Stevens, Beck. La sua musica risulta difficilmente categorizzabile, ed è in definitiva il risultato di un blend sonoro composto da ingredienti vari. Si tratta del suo album di debutto in cui non va sminuito il pensiero che lo genera. Moses vuole raccontarci l’esperienza della solitudine all’interno di una società che ha fatto delle relazioni sentimentali l’obiettivo principale a cui tendere per la propria realizzazione, relazioni che conducono all’amore romantico che oscura tutti gli altri possibili tipi di amore, come quello fraterno, materno ed amicale. L’album offre un coinvolgimento emotivo molto forte grazie alla voce dal marcato timbro soul, ma è presente anche una notevole impostazione folk che lo accosta al moderno cantautorato (Bon Iver), ed un falsetto che non può non essere avvicinato a quello di Thom Yorke. Il modo di comporre vede sempre la parte strumentale complementare all’andamento del brano. Consideriamo il pezzo ‘Quarrel’, dalla durata di oltre sei minuti, che si snoda da un’arpa neoclassica all’ingresso di una ritmica grassa e sonnolenta, mentre la voce si muove tra un caldo intimismo e un falsetto più astratto, con un epilogo quasi jazz, grazie alla presenza nel brano del basso di Thundercat e delle tastiere di Paris Strother. Altro grande brano è ‘Lonely World’, nel quale brilla ancora la presenza di Thundercat. Sumney declama i propri testi lungo una linea di chitarra acustica prima di esser investiti da una progressione basso-batteria e prima che la voce sia avvolta da vocoder plurimi. ‘Doomed’ è un pezzo cerebrale dall’andamento alla Radiohead, cantato come se ci volesse coccolare. ‘Make Out In My Car’ sembra un moderno r’n’b, ma negli arrangiamenti fanno capolino rumori elettronici ed un flauto. ‘Plastic’ è un brano che ci trasporta indietro nel tempo, con una chitarra strimpellata che porta alla luce una melodia che potrebbe essere cantata anche da Amy Winehouse. Potrebbe essere nato un personaggio su cui fare affidamento per il futuro, sperando che riesca a mantenere questa carica emotiva all’interno di una struttura precisa e misurata.

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