KINGS OF CONVENIENCE – ‘Peace Of Love’ cover albumIl dettaglio è ciò che rende grandi i Kings of Convenience, la cura per gli arrangiamenti e i testi semplici e molto comprensibili che in bocca ai due norvegesi sembrano quasi poesie, mentre intonati da qualsiasi altro musicista risulterebbero ridicoli e stucchevoli.

Anche dopo dodici anni di assenza era improbabile che i nostri tornassero con il botto. Il duo norvegese è emerso durante l’incantesimo sonnolento tra lo sfacciato Britpop e l’arrivo esplosivo di The Strokes e The White Stripes. Con l’alto, occhialuto Erlend Øye che appare come una fusione tra Napoleon Dynamite e Art Garfunkel, le loro armonie rilassanti che li avevano permesso di essere inquadrati nel Movimento New Acoustic, in cui la più grande emozione sono stati i Travis di Fran Healy. Il titolo del loro album di debutto lo riassumeva nel 2001: “Quiet is the New Loud”. Non mi sembrava comunque corretto inserirli in quel calderone di gruppi spesso noiosi, perché la purezza delle loro melodie alla luce del sole delle Baleari, infuse con l’eleganza della bossa nova, li hanno costantemente distinti anche se il loro corpus di lavori rimane piccolo: questo è solo il quarto album in 20 anni, e il primo dal 2009.

C’era sempre di più in loro. Øye ha suonato a lungo, cantato con i Röyksopp di Bergen e il suo ultimo album da solista è stato registrato con una band reggae islandese. Eirik Glambek Bøe fa musica da ballo con Kommode e insegna psicologia dell’architettura, nientemeno. Il quarto album della coppia è tutt’altro che folk, con un tocco di bossa nova alle chitarre pizzicate energicamente di “Angel” e violini jazz che ballano su “Rocky Trail”. Il singolo “Fever” presenta anche una drum machine, così come la coppia che intona affascinanti falsetti.

L’album contiene anche due gradite apparizioni di un’altra cantante raramente vista: Leslie Feist, su “Catholic Country” e “Love is a Lonely Thing”, quest’ultima una canzone così intima che potresti sentirti come un’intrusione ascoltandola. Mentre questo tipo di musica può avere la tendenza a svanire in secondo piano, qui c’è abbastanza da fare per garantire che, invece, l’inclinazione sia quella di avvicinarsi.

Scrivere canzoni così disadorne richiede forza melodica e sicurezza, ma la coppia non si allontana mai dalle loro sei corde acustiche e dal violino occasionale. “Fever” è l’unica canzone con un ritmo di batteria; “Catholic Country” – con Feist, è una delle migliori canzoni di sempre dei KOC – e altre suonano la qualità percussiva dei loro strumenti a corda per aggiungere urgenza e persino un po’ di funk.

Le voci accoppiate e timbricamente simili di Bøe e Øye rimangono una parte fondamentale del fascino. Delicatezza e cura sono date sia ai toni vocali maschili che a quelli adulti, esprimendo perfettamente innocenza ed esperienza allo stesso tempo. Ci sono momenti di semplice tristezza da rottura, ma la complessità dell’amore e del desiderio si manifesta in canzoni come “Rocky Trail” e “Killers”.

In “Angel”, Bøe considera mestamente una donna dallo spirito libero: forse alcune tranquille speranze di romanticismo sono state frustrate. Questi sentimenti complicati e illeggibili sono in definitiva un mistero, e piccoli drammi come questo, popolati da umani piuttosto che da significanti, sono ciò che rende Kings of Convenience una spanna sopra. Bentornati, c’era bisogno di quei suoni puri, cristallini ed autentici in grado di dare luce ad un percorso nordico verso la serenità e la contemplazione!!!


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