JOE BONAMASSA: “Royal Tea” cover albumA vent’anni dall’uscita del suo primo album in studio “A New Day Yesterday”, Joe Bonamassa torna sotto i riflettori con “Royal Tea”, la sua attuale fatica discografica, realizzata nel 2019 in un lungo soggiorno a Londra, e registrata in uno dei luoghi di culto di ogni fan della popular music: lo Studio One in Abbey Road. Classe ‘77, una carriera alle spalle molto lunga e prolifica, uno stile estremamente riconoscibile e studiato, ed infine una crescente e invidiatissima collezione di amplificatori e chitarre che si preannuncia di divenire uno dei più importanti e ricchi musei del settore.

Joe Bonamassa pubblica un nuovo album in studio ogni due anni, anche se negli ultimi dieci anni ha pubblicato una media di due dischi all’anno. Questi includono lavori dal vivo, collaborazioni con artisti del calibro di Beth Hart e vari progetti collaterali, l’ultimo dei quali è il suo gruppo strumentale Sleep Eazys. Ma sono gli album in studio che alimentano i suoi spettacoli dal vivo, e ultimamente Joe è diventato più astuto nel trovare un appiglio a cui aggrapparsi. Ha co-scritto le canzoni con il suo nuovo migliore amico, l’ex chitarrista dei Whitesnake Bernie Marsden, con contributi aggiuntivi di Pete Brown (paroliere dei Cream), Jools Holland e Dave Stewart.

Il produttore, sempre presente, Kevin Shirley ha quindi optato per un grande suono che caratterizza l’album fin dall’inizio, con un grandioso e ampio arrangiamento orchestrale su “When One Door Opens”, dal quale Bonamassa emerge con una melodia lenta e portentosa che ricorda i primi King Crimson, prima, schiantandosi bruscamente in un riff in stile “Bolero” di Beck. Joe sa cosa riesce a fare meglio ed è abile nel rielaborare tratti familiari per mantenerli freschi e rinvigoriti. E non c’è rischio che si ripeta mentre nuove idee fluiscono al ritmo attuale.

Questo è illustrato al meglio nella title track dell’album, un passo duro dal suono spontaneo ispirato dalla copertura mediatica del fallimento reale di Harry ‘n’ Meghan. La sua chitarra vira quasi inconsciamente tra Jeff Beck e Jimmy Page, mentre i testi cercano coraggiosamente di dare un senso a tutto.

Anche la sua band regolare è eccitata dalla grande produzione, in particolare il batterista Anton Fig che ottiene un suono enorme, grasso, ma piatto. Nel frattempo, il bassista Michael Rhodes ha il suo momento con un riff fangoso e fuzz su “Lookout Man”, e il tastierista Reese Wynans si diletta al ritmo di “High Class Girl”, che mi richiama alla mente “Green Onions”. L’album si conclude con “Lonely Boy”, un’esplosione rockabilly per la quale c’è probabilmente lo zampino di Jools Holland, anche se la band non ha bisogno di incoraggiamento e Bonamassa è ispirato a provare un paio di riff di Django Reinhardt. La cosa migliore di “Royal Tea” è che ogni traccia potrebbe facilmente entrare nello spettacolo dal vivo del nostro, che è più di quanto si possa dire per “Redemption”.

Nelle sue dieci canzoni Joe Bonamassa rende omaggio al British Blues degli anni d’oro amato e conosciuto attraverso i dischi dei Cream, del Jeff Beck Group e di John Mayall and the Bluesbreakers con Eric Clapton in formazione, presenti nella collezione di LP di suo padre.

Un disco che piacerà, e molto, a coloro che ancora adorano quel suono che si sentiva in Inghilterra tra la fine dei sessanta e l’inizio della decade successiva e che permette di capire quale sia la missione del chitarrista; quella di creare dei progetti musicali, anche diversi tra loro e a volte inaspettati, che gli consentano, in seguito, di poterli suonare sui palchi per eccitare gli appassionati della sei corde!!!


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