BUTTERFIELD BLUES BAND: “East/West” cover albumRegistrato nel luglio del 1966 presso i Chess Studios, Chicago, da Jac Holzman e prodotto da Barry Friedman, Mark Abramson e Paul Rothchild. Nel 1965, a solo un anno di distanza da quando Paul Butterfield formò la sua blues band, lanciando in questo modo uno dei migliori gruppi della comunità blues bianca di Chicago, la Butterfield Blues Band produsse l’album dinamico e visionario intitolato “East-West”.

Nel suo nuovo progetto la formazione proponeva brani molto variegati, orientali e occidentali, dando vita ad un mix sonoro assolutamente innovativo. I primi pezzi sono degli standard tradizionali dal carattere piuttosto enigmatico, caratterizzati da una compattezza ritmica che presto cede il passo ad una strumentazione pensata tatticamente per lunghi intermezzi solistici. L’emblema del blues è rappresentato da “Work Song” di Nat Adderley, brano suonato dalla band con una varietà sonora che espande la mente di chi ascolta.

Catapultati dalla maestria di Mike Bloomfield alla chitarra nel mondo del rock, tutti i musicisti, ciascuno con il suo personale talento, contribuiscono alla costruzione di una performance di squadra perfettamente bilanciata. Il disco si chiude con la traccia da cui prende il titolo l’intero progetto e che raffigura la rottura definita delle linee più familiari del blues. “East-West” è un mix mai scontato di rock, blues, jazz e suggestioni prese in prestito dalla musica indiana come dal raga rock, che offre all’ascoltatore un’esperienza sonora emozionante e molto avvincente.

“East-West” ha esteso il significato della parola BLUES, uscendo dagli schemi composti dai soliti tre accordi, e spostandosi verso una musica mai sentita prima: una miscela di psichedelia, jazz, musica indiana, ed ovviamente blues. Il viaggio da est a ovest inizia con l’irresistibile ‘marcetta’ di “Walkin’ Blues”. Ritmi serrati, chitarre ruvide, armonica energetica aprono la strada ad uno dei più bei (e sottovalutati) viaggi nella musica rock. Il ritmo rallenta ma l’adrenalina è sempre alta con la seguente “Get Out Of My Life, Woman”, dove Naftalin supera sé stesso con il suo splendido assolo di piano che riprende (in parte) sonorità tipicamente jazz. I blues lenti non mancano: “I’ve Got A Mind To Give Up Living” e la splendida “Never Say No” (con Bishop alla voce) ricordano le classiche melodie della cultura americana della prima metà del ‘900. La psichedelia è evidente nella indimenticabile “Mary Mary” (assolutamente migliore rispetto alla versione dei Monkees) e nei due pezzi strumentali di cui parlerò in seguito. L’energia si sprigiona nella storica “Two Trains Running” e nell’ottima “All These Blues”.

Ma i punti cardini dell’opera sono i due brani strumentali. La prima grande perla è “Work Song”, perfetta in ogni sfaccettatura: Bloomfield fa da apripista con lo splendido fraseggio jazz di Nat Adderley, ruvido nei suoni, spigoloso negli intrecci, semplicemente sublime; segue Butterfield con l’armonica e Naftalin alla tastiera; Bishop chiude riprendendo il tema di Bloomfield con uno stile più fluido ed elegante (ciò non significa assolutamente più bello). Il punto cardine di tutto il disco è la splendida suite “East-West” (composta da Naftalin e Nick Gravenites): è Bishop ad iniziare stavolta e si distacca completamente dalla tradizione blues, sperimentando un nuovo stile meno americano. Indimenticabile l’intreccio di chitarre del vecchio Elvin con il compagno Mike: il blues diventa mondiale, l’Oriente incontra l’Occidente, scale modali che sostituiscono le pentatoniche, si respirano nell’aria Ravi Shankar e John Coltrane, qualcosa di nuovo che germoglia.

Ancora mi sorprendo a riascoltarlo a distanza di quarant’anni dalla prima volta, ne sono ancora estasiato e credo che sarà per sempre così!!!


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