Conoscete Hubert Selby JR.?
Se la risposta è negativa non potete sapere che cosa vi siete persi fino ad oggi. Secondo il New York Times “Selby era uno dei maggiori scrittori viventi… capire le sue opere vuol dire capire l’America”, mentre per il Los Angeles Times “insieme a William Burroughs, era uno dei veri grandi scrittori americani”.
“Ultima fermata a Brooklyn” è un romanzo di una intensità e crudezza che lascia allibiti ancora oggi nonostante sia stato scritto nel lontano 1964. Si narra dell’amata-odiata città natale, di una fauna umana composta da travestiti, drogati, teppisti, emarginati, personaggi per cui non c’è un domani ne una speranza al di la della solitudine e disperazione che li attanaglia.
Selby fu un grande ispiratore artistico per Lou Reed, ma anche umano nella descrizione dei protagonisti di quella parte della “Grande mela”.
Esiste però un’altra figura che sembra rappresentare al meglio gli esseri umani descritti dallo scrittore cioè Jim Carroll. Credo che in pochi conoscano la persona di Jim e forse più per il lato letterario che per quello musicale.
Jim è di origini irlandesi, frequenta la prestigiosa Trinity School di New York. É un eccellente giocatore di basket, ma anche un consumatore di tonnellate di eroina che si paga prostituendosi per nutrire la propria dipendenza. Fin dall’età di sedici anni viene apprezzato da autori quali Ted Berrigan, Jack Kerouac e William Burroughs, La sua opera più famosa esce nel 1978 e si intitola “Basketball Diaries” con la quale vinse il premio “Random House young writer’s award”. Sono momenti in cui girovagando per la “Big Apple” viene in contatto con Lou Reed, Patti Smith, Andy Warhol, Sam Shepard e Allen Ginsberg. La tossicodipendenza sta riducendo il nostro in uno stato pietoso, motivo per cui si trasferisce a Bolinas, California. Fu un periodo di ripensamenti, cessò di scrivere canzoni, nonostante il mondo del CBGB’s fosse sempre nei suoi pensieri, così come gli artisti che si cimentavano sul palco (Mink De Ville, Talking Heads, Blondie, Dictators). Più sobrio capì di poter trasferire la lirica e la carica emotiva dei suoi scritti in musica.
Riprese a scrivere canzoni, parevano più che buone, ma vi era il problema di trovare una band che fosse in grado di dare sostanza ai testi e ai brani. Come spesso accade gli capitò casualmente di incontrare gli Amsterdam, gruppo dotato di notevoli capacità tecniche, Erano formati da due chitarristi, Terrell Winn e Brian Linsley, un bassista nipote di Brian, Steve e da un batterista, Wayne Woods. L’incontro avvenne al Mabuhay Gardens di San Francisco e il concerto che tennero per il pubblico si rivelò un successo. Finalmente c’erano dei musicisti che potessero tradurre in suono le sue liriche e composizioni.
Uscito dal tunnel della tossicodipendenza, aveva ancora storie da raccontare e un nuovo mezzo per farle conoscere ed apprezzare: la musica. Splendide ballate dal suono sporco, fatto da riff secchi e affilati come lame di coltello che esprimevano al meglio i bassifondi malsani e romantici di New York. É la stessa città che Lou Reed cantò nove anni dopo.
Si percepisce molto della prima Patti Smith e dei Television, ma il tutto risulta più spigoloso in “Catholic boy” esordio di Jim del 1980.
Si parla, senza ipocrisia, di troie, papponi, tossici. La voce di Carroll è tagliente e riesce a disegnare affreschi musicali perversi in “Wicked gravity”, mentre in “Nothing is true” ci dona un inno senza speranza e distruttivo attraverso dei colpi di chitarra duri come la pietra.
Il punk non pub mancare ed è espresso al meglio in un pezzo come “Three sisters”. Riff cattivi dipingono “It’s too late” dal testo che recita (…ormai e troppo tardi per innamorarsi di Sharon Tate). Verlaine ed i suoi Television sono presenti alla grande nel brano omonimo grazie a ritmi spezzati e coinvolgenti.
II lato romantico non manca ed e rappresentato da “Day and night” oppure in “I want the angel” in cui lo stile richiama iI gitano newyochese per eccellenza, Willy Deville. Ma è con “City drops into the night”, sette minuti di epicità scanditi dal sax di Bobby Keys, che ci si rende conto che Jim Carroll ci ha colpiti nel profondo marchiandoci per sempre.
II pezzo più toccante è rappresentato da “People who died” in cui si narra di amici d’infanzia che non ci sono più attraverso quattro accordi veloci di punk.
Purtroppo questo album non è più rintracciabile, ma esiste una raccolta dal titolo “A world without gravity” che contiene diversi pezzi dell’album in questione oltre al successivo “Dry dreams” solo di poco inferiore all’esordio. Non lasciatevela sfuggire, avrete tra le mani un testamento della New York di fine settanta/primi ottanta musicale e non!!!



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