Nuova uscita Constellation e ancora una volta un disco da assaporare nota dopo nota con la certezza che non sarà un album da cestinare.
Il terzo album del progetto arabo-canadese di stampo elettronico avant-garde. Al solito divisi tra il quartier generale di Montréal e la fervida scena sotterranea di Beirut, i nostri danno un seguito al lavoro spartiacque del 2015 “If He Dies, If If If If If If”, vero e proprio evento nel circondario indie, capace di stabilire nuovi punti di demarcazione tra l’universo della musica sperimentale e quello della world.
Guidati dal musicista e produttore Radwan Ghazi Moumneh (Suuns, Matana Roberts, Big Brave), i Jerusalem In My Heart si presentano con uno sforzo in grado di rivaleggiare con il precedente e, a mio parere, a superarlo grazie alla strepitosa seconda parte dell’opera.
Per comodità faccio riferimento al LP per distinguere le due facciate, la prima parte vede la presenza di musiche popolari egiziane (“Ya garad al wadi”) che viene riproposto con titolo diverso (“Wa ta’atalat loughat Al Kalam”) in versione orchestrale di quindici elementi tra cui non manca l’eminenza grigia Sam Shalabi in veste di arrangiatore. Strumenti a percussione (riq, santur, kanun) sono affiancati dall’elettronica e insieme danno origine ad un misto di tango e flamenco che la durata eccessiva porta ad un legger tedio.
Da questo momento in poi è un crescendo di situazioni che ci deliziano fino all’estasi.
“Bein ithnein” ci riporta a quei suoni indie-wave cari all’etichetta e pure ai due protagonisti che svolgono un brano di impronta wave con profumi e sapori arabeggianti come in passato riuscirono i grandi Savage Republic.
Tutta la seconda parte ci stimola nel tentativo di rinverdire una tradizione che funge da momento di partenza per costituire qualcosa di nuovo e per dimostrare che non c’è futuro senza la conoscenza del passato in qualsiasi campo!!!
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