JERRY JOSEPH- “The Beautiful Madness” cover albumWoody Harrelson, Jason Isbell, Richmond Fontaine e Patterson Hood (Drive-By Truckers), che di “The Beautiful Madness” è produttore, non si stancano di tessere le lodi di Jerry Joseph, cantante, autore e interprete statunitense attivo dagli inizi dagli anni ’90 e ora finalmente pronto ad ampi riconoscimenti internazionali: e sono proprio i Drive-By Truckers al completo, dietro la sigla Stiff Boys, a fargli da backing band (riunendosi con lo stesso Isbell per la prima volta dal 2007 per la lancinante “’Dead Confederate”, dove Jason suona la slide) in un disco in cui sofferte ballate si alternano a vivaci pezzi alt country come “Days Of Heaven”, mentre l’epica “Sugar Smacks” accentua le sfumature dark e “Black Star Line” è un ricordo autobiografico di David Bowie e del suo ‘Diamond Dogs Tour’ del 1974.

Un album che dovrebbe concorrere per la palma di migliore in ambito di roots-rock, senza se e senza ma. Prodotto dal suo amico, e ora collega e residente a Portland, OR Patterson Hood, che ha reclutato, come detto sopra, il proprio gruppo, Drive-by Truckers, per sostenere Joseph. L’album è incredibilmente tempestivo in quanto Portland rimane uno dei centri più caldi della protesta politica. Joseph più che comprendere il lato più oscuro della condizione umana esplora alcuni degli aspetti non espressi delle relazioni e delle verità su noi stessi che preferiremmo tenere nascosti. Questo è l’album di cui Hood e Jerry avevano parlato per anni e finalmente hanno avuto modo di fare e si tratta, per loro, di un’opera molto significativa proprio per il tempo speso per cercare di portarla a termine.

L’obiettivo di Patterson era quello di cogliere le canzoni nel loro elemento più puro, senza troppi abbellimenti. Joseph avrebbe portato in studio alcuni dei suoi brani migliori di sempre conditi da una intensità e profondità mai raggiunte in passato. D’altra parte il cantautore sostiene che Hood lo abbia compreso perfettamente e lo abbia condotto lungo sentieri musicali di cui non conosceva neppure l’esistenza. I DBT, naturalmente, essendo cresciuti nell’eredità del suono delle sessions Muscle Shoals, avendo prestato il loro sostegno agli album per Bettye LaVette e Booker T. Jones, hanno contribuito in modo grandioso alla riuscita del lavoro. Il disco è stato registrato nello studio del bassista Matt Patton, Dial Back Sound, a Water Valley, Mississippi con l’ingegnere capo Bronson Tew. I due hanno collaborato a molti progetti, tra i quali, in particolare, quelli relativi a Jimbo Mathus. L’album è stato registrato in sei giorni, per dire che non è sempre necessario rimanere a lavorare per tanto tempo per riuscire a creare dischi di bellezza superiore.

“Days of Heaven” prende il nome dal film di Terrence Malick. Hood dice: «Come il film, è pieno di belle immagini che dipingono un quadro che ti lascia la possibilità di interpretarlo a piacimento». Il processo di scrittura delle canzoni di Joseph inizia con un elenco di titoli tratti da film, libri, cartelli stradali e qualsiasi cosa potesse attirare la sua attenzione. Con una lista compilata in mano, si diresse verso la casa di suo fratello a El Sauzal, in Messico, con l’intenzione di scrivere le tracce. Il sito si trova su una splendida scogliera con vista sull’oceano, ma, in una zona brulicante di bande dai cartelli della droga. Così, Joseph racconta: «Alla sua insistenza, ho tenuto fuori una ‘45’ sul tavolo, pronta all’uso, con il mio iPad e carta da lettere per i pochi giorni in cui dovevo scrivere, aggiungendo un’atmosfera strana alle canzoni che stavo scrivendo». “Bone Towers” parla dello sgretolamento di una relazione con le immagini delle strutture scheletriche dei grattacieli incompiuti, lasciati a soffiare nel vento dopo la caduta di Saddam Hussein. (Joseph ha trascorso molto tempo in tour in Medio Oriente, Asia, Sud America e Sud Africa, tra gli altri luoghi). “(I’m in love of) Hyrum Black” è una ‘Mormon Outlaw Cowboy Song’ immersa nel sangue, nella religione e nell’aria del deserto. Il defunto John Barlow, che ha scritto con Jerry Garcia, l’ha definita una delle più grandi canzoni che abbia mai ascoltato. “Good” è sia una preghiera per i suoi figli che una maledizione sulle forze più oscure della cultura e della politica. “San Acacia” inizia con poche belle note di Jay Gonzalez e si trasforma in una canzone coinvolgente piena di armonie e l’indelebile coro di ‘San Acacia… Non mi prendete come sono, come sono io’.

“Dead Confederate” dovrebbe ricevere il premio per “Canzone dell’anno”, specialmente in quest’anno di disordini sociali e razziali. Hood sostiene di non essere mai stato in grado di ascoltarla fino in fondo senza provare brividi e lacerazioni. La considera il degno seguito di “Rednecks”,tratta da “Good Old Boys” di Randy Newman, un cantautore che ha scritto un sacco di canzoni sull’argomento per tutta la sua carriera. La canzone assale il bigottismo e l’odio dalla voce provocatoria di una statua confederata abbattuta.

Questo è un album devastante unico nel suo genere che ha bisogno della tua attenzione immediata!!!


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