JAPAN: "Quiet Life" [Deluxe] cover albumI Japan sono solitamente adulati per i loro anni con la Virgin durante i quali licenziarono due eccellenti album in studio ed uno dal vivo: per converso, sono sempre stati catalogati frettolosamente e con alterigia i loro primi tre lavori per la Hansa/Ariola, prodotti che meritano certamente più attenzione di quanta ne abbiano avuta in passato. In particolar modo “Quiet Life”, anello di congiunzione tra le spigolose composizioni degli esordi e l’eleganza formale dagli arrangiamenti sempre più ambiziosi che caratterizzerà gli ultimi due lavori in studio.

La formazione che darà vita a “Quiet Life” è la stessa dei due predecessori: guidati dal carismatico David Sylvian, languido vocalist/compositore dalle movenze sofisticate, i Japan si avvalgono di un prezioso bassista/sassofonista di origini cipriote: Mick Karn; synth & keyboards sono affidati ad un vecchio compagno di scuola, capitano della locale squadra di calcio: Richard Barbieri (da più di dieci anni a questa parte pedina inamovibile nei Porcupine Tree); nonché Rob Dean, chitarra, e Steve Jansen, fratello di Sylvian (vero nome Batt) alla batteria.

I Japan si erano formati nel sud di Londra nei primi anni ’70 – le pietre miliari glam includevano i New York Dolls, Roxy e Bowie. La prima parte della loro carriera è piena di false partenze, tra cui un triste tour a supporto dei Blue Öyster Cult e due album ampiamente ignorati, “Adolescent Sex” e “Obscure Alternatives” (entrambi del 1978). Ma alla fine del decennio, la loro sorte migliorò. “The Tenant”, lo strumentale lento che chiuse “Obscure Alternatives”, fu il primo dei pezzi per pianoforte ispirati da Satie di Sylvian. Nel frattempo, “Life In Tokyo”, un singolo indipendente con Giorgio Moroder, segnò la loro transizione dai revivalisti glam. Quando registrarono “Quiet Life”, i nostri avevano perfezionato una nuova direzione creativa – lanciato ad arte da qualche parte tra l’oppiaceo chic dei Roxy di fine periodo, le inquietanti astrazioni del glamour noir del Bowie di “Low” e The Velvet Underground. Ma nonostante il fiorire del loro nuovo sound – registrato dal produttore dei Roxy, John Punter – le canzoni del disco sembravano prefigurare la relazione intricata di David con la fama.

La title track riassume brillantemente i loro punti di forza: il sinuoso basso fretless di Karn, la batteria metronomica di Jansen, gli accordi scanditi di Dean e l’E-bow che suona sdraiato sotto la tastiera di Barbieri. Ha impressionato così tanto i Duran Duran, che hanno basato tutta la loro carriera intorno ad esso.

Altrove, “Quiet Life” trova i ragazzi che esplorano giocosamente le loro nuove capacità. Le sonorità alla Fripp di Dean che caratterizzano “Fall In Love With Me” si muovono contro il sassofono di Karn; “Halloween” spinge ulteriormente la band verso l’avanguardia cinematografica del successivo “Gentlemen Take Polaroids”. Una versione educata di “All Tomorrow’s Parties”, costruita attorno alle linee cicliche di chitarra di Rob, è portata dalla malinconicamente educata consegna di Sylvian. Probabilmente, il cantante era più a suo agio nei momenti più tranquilli. Il suo croonerismo stordito si estende nello spazio tra gli strumenti – su “Despair”, diciamo, dove è accompagnato dalla tastiera di Barbieri e dal sassofono di Karn. Gradualmente si ritira dalla canzone mentre l’atmosfera fredda di Richard si trasforma in una coda estesa modellata su “Warszawa” di Bowie. Le linee di basso espressive e fretless di Karn e i letti synth strutturati di Barbieri forniscono all’album il suo carattere musicale – come in “In Vogue” o “Alien”, che spazzano avanti con imperiosa grazia. Iniziando come un altro enigmatico pezzo per pianoforte, il sette minuti conclusivo, “The Other Side Of Life”, si sviluppa in un finale emozionante e ad ampio schermo, con il baritono di Sylvian che si alza per incontrare i sintetizzatori gonfi di Barbieri e i sontuosi arrangiamenti degli archi.

Tutto ciò verrà meglio incanalato con il lavoro seguente, “Gentlemen Take Polaroids”, e ulteriormente sul disco del commiato, “Tin Drum”. Questi tre dischi segnano una fase distinta nella carriera del nostro, stabilendo un percorso di successo creativo e commerciale che alla fine rifiutò a favore di strategie più oblique. Anche i suoi ex compagni di band trovarono punti di forza creativi al di fuori del mainstream. “Quiet Life”, tuttavia, permise ai Japan di andare da un posto all’altro e ad un altro ancora fino a potersi permettere di spostarsi ovunque volessero!!!

[Extra: un secondo disco raccoglie remix da 7″ e 12″ e brani indipendenti come “Life In Tokyo” e “European Son”. Un terzo cd, registrato dal vivo al giapponese Budokan, cattura la band nel pieno delle proprie capacità.]


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