Il primo approccio con Iggy Pop non fu particolarmente riuscito.
Ricordo che, nel 1979, un mio amico mi prestò un paio di long playing, “Take no Prisoners” di Lou Reed e “TV eye” dell’iguana. È necessario premettere che al tempo i miei ascolti erano orientati verso i suoni del prog-rock e quindi, quando fui investito da un sound selvaggio e senza freni, tolsi l’album dal piatto in tutta fretta.
Ricordo, sempre nell’anno 1979, che Iggy venne a suonare nella mia città, portava in tour “New values”, ed io mi recai nei pressi del palazzetto per osservare la fauna che si prendesse la briga di andare ad assistere all’evento. La stragrande maggioranza dei partecipanti provenivano da fuori Parma con look da far rabbrividire, capelli lunghi giubbotti in pelle nera oppure in jeans tutti strappati. Mi sembrarono alquanto pericolosi.
Con il trascorrere del tempo le mie conoscenze musicali si ampliarono, i miei gusti si affinarono e molte musiche, che allora giudicai negativamente, entrarono in circolo senza più uscirne. L’iguana fu rivalutato e mi appassionai a diverse sue opere. “The idiot” e “Lust for life” per quanto concerne gli anni settanta, “Soldier” in relazione ai primi ottanta e un disco del 1993 dal titolo “American Caesar” che seguiva un paio di titoli alquanto discussi e, forse, anche discutibili “Instinct” e “Brick by brick”!!!
Il primo un album deludente che strizzava l’occhio a certe forme di rock duro in voga alla fine degli eighties.
Manca però la grinta, l’incisività e la trasgressione. Il secondo, del 1990, era un lavoro prodotto da Don Was quindi brillante e radiofonico. È assente ancora una volta il suono sporco e devastante che lo dovrebbe caratterizzare.
“American Caesar” ce lo riconsegna, invece, sboccato, irriverente e dai toni drammatici. È puro Iggy Pop esplosivo, collerico e selvaggio, che cammina “on the wild side”.
Ottima la produzione di Malcom Burn che rende il suono sporco ed aggressivo come non sentivamo da tempo.
Il brano “Wild America” mette subito in chiaro le intenzioni: l’Iguana è tornato.
“Mixing the colors” ci riporta alla magnifica “The passenger” anche se è più concisa e con ampio uso dell’armonica.
“Jealousy” è ai confini del capolavoro, arrangiamento spartano(chitarra acustica e batteria), atmosfera scura e la voce di Pop ha un incedere minaccioso.
“Hate” è ipnotica con un finale ricco di feedback. “Plastic & concret” rimanda ai primi Red Hot Chili Peppers con quella ritmica epilettica e la chitarra che graffia e tortura.
Meritano una citazione la cover di “Louie Louie” e lo sconfinamento nell’avant-rock di “Caesar” in cui il nostro declama slogans su un tappeto alla Suicide.
Forse l’unico difetto che posso riscontrare è la durata eccessiva del disco, altrimenti sarebbe un capolavoro!!!
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