Meg Duffy è cresciuta in una piccola città a nord di New York, affinando la sua tecnica alla chitarra durante i tour con il musicista folk Kevin Morby (Woods, The Babies). Il suo progetto Hand Habits prende vita dopo il suo trasferimento a Los Angeles. All’inizio è solo uno sfogo personale attraverso il cantautorato, ma poi diventa una vera e propria band il cui debut album – “Wildly Idle (Humble Before the Void)”, uscito per Woodsist Records nel 2017 – è nato interamente autoprodotto e registrato a casa di Meg durante i momenti di pausa dai tour. Il risultato è stata un’antologia di canzoni folk registrate in casa e scelte dalla giovane chitarrista attraverso il processo di esplorazione artistica tipico dell’artista che va a vivere da sola per la prima volta.
Due anni dopo, Hand Habits torna con il suo secondo album, “Placeholder”. Il processo questa volta è stato diverso: la Duffy ha scelto di lavorare in studio con diversi collaboratori, a cui ha affidato una parte di quello che finora era un processo creativo strettamente personale. Nel corso dei 12 brani del disco, traspare tutta la fiducia appena trovata dalla giovane chitarrista che finalmente si trova a suo agio nel suo ruolo di band leader e cantante. Questo disco è delicato e intimo come tutte le composizioni della nostra, ma è anche il lavoro raffinato e ricercato di una musicista finalmente pronta a condividere con il grande pubblico la propria visione singolare del mondo.
Il titolo “Placeholder” descrive il fascino che l’indefinibile esercita sulla ventiseienne americana. Le canzoni quasi aprono una fessura nella realtà, invitando l’ascoltatore a riempire questo spazio con il significato che desidera. Come compositrice, Meg è naturalmente attratta dai momenti di passaggio e i suoi brani mettono l’accento proprio su questo: il filo conduttore dell’album è l’intenzione di vedere ogni esperienza come un trampolino di lancio verso la successiva e verso la prossima tappa per conoscersi meglio. Tra le righe si legge la gioia della cantautrice che condivide il proprio viaggio e la tristezza di una ragazza che, un passo alla volta, sta iniziando a capire come stanno le cose.
Dal punto di vista strumentale, l’album è sulla stessa linea di alcuni del folk contemporaneo di Angel Olsen e Big Thief, con la chitarra ben in evidenza e che conferma Meg come una delle migliori giovani musiciste di oggi.


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