Non avrei mai immaginato che ci sarebbe stato un seguito a “How did i find myself here?”, il disco dei Dream Syndicate di un paio di anni fa, che mi riportò indietro nel tempo, ai miei vent’anni. Non lo credevo possibile considerando le difficoltà che esistono nel tenere in piedi una R’n’R band. Ne prendo atto e sono senz’altro contento di poter ancora ascoltare un nuovo album di un gruppo che ho amato tanto, ma che negli anni ottanta durò troppo poco tempo.
Leggendo qua e là nel web vengo a sapere che Steve Wynn si sarebbe ispirato a J Dilla, uno dei produttori e rapper più eclettici ed originali che il mondo e la cultura Hip Hop abbia mai espresso, per la realizzazione di “These times”, perdendosi nell’ascolto di tape loops, sequencer e synth vari. Non preoccupatevi non si tratta di un’opera Hip Hop, le chitarre sono ben presenti, per cui l’ispirazione riguarda più l’umore che il suono, la capacità di esplorare generi diversi e quell’attitudine antologica del compianto J Dilla. Quindi niente elettronica trai i solchi, ma solo un senso d’inquietudine come solo l’elettronica migliore sa trasmettere.
L’apertura dell’album è affidata ad un trittico di canzoni difficili da dimenticare, rock visionario, cantato affascinante e mai sopra le righe, ritmi squadrati e una elettricità capace di generare hook melodici a cui è difficile sottrarsi. La novità di questi brani, rispetto al passato, è l’uso insistito di tastiere e suoni sintetici capaci di offrire una nuova visione psichedelica, lontana da quella che li caratterizzava all’inizio di carriera. Wynn afferma, convinto, che loro si chiamano come il vecchio gruppo, ma sono una band di oggi per l’oggi. Hanno saputo mettersi alla prova infarcendo la materia psichedelica di matrici diverse: il kraut, la New York dei Velvet Underground, i Wall Of Voodoo.
È molto interessante anche il processo creativo dietro la realizzazione di questo disco, che ha visto Wynn scrivere i testi delle canzoni solo una volta che queste erano state già registrate. Anche in questo caso ci viene in soccorso Steve che afferma come il Sindacato del Sogno sia sempre stato una groove band, in cui tutto partiva dalla sezione ritmica e solo quando il sound decollava si cimentava nella scrittura dei testi per andare a completare al meglio la componente sonora.
Ancora una volta mi sono lasciato coinvolgere totalmente dal disco e non me ne sono pentito, anzi!!!


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