DOPE BODY: “Crack A Light” cover albumIl minimo comune denominatore del nuovo lavoro dei Dope Body è quello di sempre, ovvero un approccio squisitamente sfatto. Se li avevamo lasciati alle prese con un album casalingo prodotto durante il lockdown, “Home Body”, che divertiva per il tiro lo-fi goliardico, ma mancante tuttavia di una qualità che lo emancipasse dal divertissement sperimentale, con “Crack a Light” il suono si fa più compatto e deciso.

Quando il quartetto noise rock di Baltimora terminò il loro terzo album, “Lifer” del 2014, avevano un surplus di canzoni aggiuntive e registrazioni varie. Nel 2015 hanno presentato il meglio di questi pezzi come “Kunk”, un complemento quasi simile a un mixtape per “Lifer”. Il disco era sperimentale e frenetico, riflettendo il costante mutamento che il gruppo aveva attraversato nel corso della loro attività ininterrotta sin dalla formazione sette anni prima. La band si è lasciata brevemente nel 2016, ma avevano ripreso a fare spettacoli e registrare di nuovo nel 2019, con il mixtape prodotto in casa del 2020, “Home Body”, che continuava l’approccio stilisticamente onnivoro verso cui si stavano muovendo poco prima di sciogliersi.

“Crack a Light” è, secondo alcuni, il quarto vero e proprio lavoro in studio del gruppo, e spinge il loro ballabile art rock in nuove direzioni mantenendo l’energia esplosiva al centro di ogni traccia.

L’apertura dell’album “Curve” esplode con alcuni elementi familiari del suono caratteristico della band, con bassi distorti, chitarra livida, voci spavalde e batteria iperattiva che si congelano in tre minuti di caos strettamente controllato, con l’elettronica che aiuta l’assolto in modalità garage del brano. Dove prima i dischi precedenti accennavano all’influenza di gruppi rock freak degli anni ’90 come Girls Against Boys o Brainiac, canzoni come “Curve” o il nervoso “Lethargic” seguono le tracce tracciate da quei gruppi in modo più sfumato. Ci sono anche accenni al lato più metallico del grunge nei rullanti in stile “Nevermind” di “The Sculptor” e il coro lamentoso di “Jer Bang” che ricorda gli Helmet nella loro massima angoscia.

Il gruppo sembra ringiovanito dal breve scioglimento e colpisce con rinnovata potenza in molte canzoni, esplora ancora strade più sperimentali con diversi brevi, rumorosi intermezzi e brani più lenti e sporchi come la dura e psichedelica “Mutant Being”.

Meno dispersivi rispetto alle loro uscite mixtape, il nuovo lavoro dei Dope Body spara su tutti i cilindri con più forza e concentrazione di quanto mostrassero negli album precedenti. Anche la produzione è più nitida di qualsiasi cosa abbiano ottenuto prima, rivelando più della tensione e della catarsi che è risultata come un rumore semplice e furioso nel passato. È una delle affermazioni più eccitanti, complesse e accattivanti di una band già nota per la sua elettrizzante turbolenza!!!


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