DEFTONES: “Ohms” cover albumNel 2020 che segna l’anniversario della loro pietra miliare “White Pony”, che sarà celebrata prossimamente con una ristampa e la pubblicazione della raccolta di nuovi remix “Black Stallion” a opera di vari producer, incluso DJ Shadow, i Deftones tornano con il nono album “Ohms” a quattro anni di distanza dal precedente lavoro di studio, “Gore”. Il filo conduttore può essere individuato nell’arruolamento del produttore Terry Date, già alle prese con il gruppo californiano per i suoi primi quattro dischi usciti tra 1995 e 2003, incluso, sì, “White Pony”. In aggiunta, Frank Maddocks si occupa dell’iconico e minimalista artwork, proprio come già avvenuto nel 2000 per quello storico disco.

La relazione tra il frontman Chino Moreno e il chitarrista Stephen Carpenter ha un’importanza mitologica: sono i due opposti che mantengono la musica dei Deftones in bilico tra violenza e ricerca. Carpenter è il metallaro, mentre Moreno è lo sperimentatore sonoro. Il rapporto personale tra i due è sicuramente più sfumato di così, e anche Moreno è chiaramente un fan del metal. Ma il push-pull tra gli elementi musicali è reale, e il motivo per cui gli album del gruppo continuano a sembrare eccitanti e vivi mentre quasi ogni altra band, una volta etichettata come nu-metal, ora sembra un kitsch auto-parodico.

Moreno ha segnalato in una recente intervista a Uproxx che “Ohms” avrebbe soddisfatto i fan del materiale più intenso di Deftones, si badi bene, non heavy. Si rinuncia al silenzio che tanto infastidisce Carpenter, infatti non viene offerta mai tregua per più di un minuto o due prima di sbatterti di nuovo al tappeto.

Invece il nuovo lavoro aggiunge un piano oltre la semplice dicotomia forte e silenzioso, dove la band è libera di assecondare i suoi impulsi più duri e gentili tutti in una volta. In “The Spell of Mathematics”, una strana linea di sintetizzatori acuti ammorbidisce le chitarre metal fangose ​​che si agitano sotto di essa; contro il feedback stridente e il rumore di “Error”, Chino fa le fusa invece di aggiungere i suoi ululati alla mischia.

Mantengono i loro suoni più avventurosi ai margini. “Pompeji” si dissolve in un minaccioso ronzio di synth, cullandoti nel compiacimento prima che i ritmi idraulici di “This Link Is Dead” arrivino a svegliarti; “The Spell of Mathematics” dedica metà del suo tempo a una splendida coda strumentale, con placidi accordi di chitarra drappeggiati come una coperta di sicurezza su tamburi che mescolano ansiosamente. A volte, si vorrebbe che la band integrasse momenti come questi più completamente nelle canzoni stesse, ma forse così facendo sconvolgerebbe il delicato equilibrio che sembrano aver raggiunto. Tuttavia, i Deftones prosperano sulla tensione; c’è una ragione per cui nessuno dei progetti collaterali di Moreno e Carpenter, in cui ognuno è libero dall’influenza costrittiva dell’altro, ha prodotto qualcosa di così risonante come il miglior lavoro della loro band principale. Se hanno raggiunto una distensione, non bisogna aspettarsi che duri a lungo.

Nell’anno del ventennale del loro gioiello “White Pony”, Moreno e soci si presentano in gran forma e impacchettano un full-length che, pur guardando indietro, si rivela attuale e di impatto come lo sono, d’altronde, tutti i lavori del gruppo californiano che ha saputo andare oltre il ‘genere’!!!


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