Brant Bjork è uno di quei (pochi) personaggi che ti rendono fiero di ascoltare rock alternativo. Look da chicano terribilmente simile al Tomas Milian dei tempi dell’ispettore Giraldi (il mitico ‘er Monnezza’), in realtà è 100% USA, nato a Palm Desert, California del Sud. Bjork non ha nemmeno l’aura dell’eroe maledetto, figura in realtà spesso vicina a storytelling abusati, mentre qui stiamo parlando di un mite e schivo artigiano del rock’n’roll.
Certo che il marchio di ex batterista dei Kyuss (e dei Fu Manchu) non glielo potrà levare mai nessuno e se non fosse stato per la testarda cocciutaggine di Josh Homme che nel 2011 impedì la prosecuzione del progetto Kyuss Lives, quel marchio gli sarebbe rimasto indelebilmente impresso. E invece il nostro Brant (viene naturale chiamarlo in tono così confidenziale) si è rituffato prontamente sulla propria carriera, allora già sostanziosa, dove quella solista, in cui avanza nel ruolo di chitarrista e front man, ad oggi conta ben nove uscite sulla lunga distanza.
La Heavy Psych Sounds, in concomitanza con l’ultimo album “Mankind Woman”, ha ristampato due tra le sue migliori prove, entrambe atipiche in quanto caratterizzate da un’anima acustica e stilisticamente lontana sia dalla sua cifra principale che dal suo contesto live. Sono prove intime, discrete e introspettive, eppure potrebbero altrettanto agevolmente indossare un abito elettrico. Sì, perché ad ascoltare con attenzione questi due lavori, il suono polveroso che obbliga a pensarsi circondati da cactus e macinati dal sole del deserto, quello che ha fatto la fortuna del cosiddetto stoner rock, emerge ugualmente, forse rimarrebbe incollato a queste tracce persino se fossero rivisitate in chiave jazz.
Se proprio devo scegliere (e non vorrei doverlo fare) preferisco Tres Dias, anno 2007, 8 pezzi solo voce e chitarra e qualche rarefatta percussione, un modo per lui insolito di mettersi a nudo. Registrato nel breve volgere di tre giorni, da cui logicamente il titolo, fa risorgere a nuova vita alcuni brani dei precedenti “Jalamant”a,Saved By Magic” e “Keep Your Cool”, assieme ad altri che faranno invece parte dei successivi “Somera Sol” e “Punk Rock Guilt”.
La struttura è ripetitiva, la voce affiora come un racconto costante e monotono, ma a poco a poco scalda e accompagna. “Love Is The Revolution”, unico episodio a superare i 4 minuti, è esemplare in questo senso, un’ipnosi acustica che ti colpisce e ti avvolge. “The Native Tongue”, un blues ancestrale dove è un attimo immaginare che una pietra del Mojave Desert si sia messa a cantare. “The Knight Surrenders Today” è l’unico inedito vero e proprio, mood e contenuto sono agli stessi livelli della produzione indirizzata altrove.
Ci vuole un po’ prima di lasciarsi trascinare dal flusso delle emozioni, ma una volta entrati si fa fatica ad uscirne. E se nessuno può negare che sarebbe una perfetta colonna sonora per viaggi on the road o voli mentali, sarebbe molto riduttivo ingabbiare questo disco nei confini del cliché.
Anche “Local Angel”, pubblicato tre anni prima, rigorosamente registrato al Rancho della Luna, ha trame sottili che si insinuano e che riescono a catturare l’attenzione dell’ascoltatore più distratto.
Parte con un delicato sussurro come quello di “Beautiful Powers”, ma poi combina maggiormente trame acustiche ed elettriche.
Grazie al funky di “Bliss Ave.” per esempio. Oppure con “She’s Only Tryin’”, che potrebbe avere i Free o gli Spirit come backing band.
E se questo non bastasse la cover rilassata di “Hey Joe”, risolta in maniera che non si debba per forza pensare a Hendrix, fantasma che peraltro aleggia su tutta la produzione di Bjork.

Stessa meraviglia per il trattamento che ha trasformato in un bozzetto unplugged “I Want You Around” dei Ramones di “Rock’n’Roll High School”.
Geniale.
Nelle note ringrazia Phil Lynott, ma forse dovrebbe ringraziare tutta la musica degli anni ‘70 e noi a nostra volta dovremmo ringraziare lui per avere sempre saputo riproporre suoni così datati in un modo del tutto spontaneo e naturale, in netta antitesi con la scena che conta.
Del resto in “The Messengers” dice “the compromise can kill you”, mentre noi siamo sicuri che Brant Bjork un rischio del genere non lo correrà mai.

[Marco Melegari]



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