Cover album BILL LASWELL- “Against The Empire”Bill Laswell è un personaggio unico nel panorama musicale: musicista, produttore, alchimista sonoro in grado di muoversi a 360° lavorando con Material, Henry Threadgill, George Clinton, John Zorn e Killah Priest. La sua opera è estesissima, sembrerebbe difforme e disomogenea, dispersa con uguale creatività in molteplici direzioni, percorsi e rivoli. La sua cifra stilistica è invece inequivocabilmente una e unica, percepibile in ogni opera da lui ideata o cui abbia partecipato in qualsiasi modo. Vi è, insomma, una firma inconfondibile, che è fatta di plurimi indizi e tracce, che permette di giungere a destinazione, che si tratti di creazioni con musicisti a lui abituali e vicini (è il caso di “Against Empire”) o di produzioni e partecipazioni in altri ambiti (e si sa che l’elenco è estremamente folto). L’arte di Laswell è combinatoria e intuitiva, sa unire elementi disparati e apparentemente incompatibili per trarne fusioni sonore che spesso e volentieri non esistono in natura ma sgorgano direttamente da suoi interventi che, pur sembrando talvolta arbitrari e manipolati, sanno assumere una naturalezza e una logica linguistica che fanno sì che sembrino del tutto inevitabili.

Nelle quattro lunghe suites che compongono i circa sessanta minuti di “Against empire” c’è il passo inconfondibile del suo basso dub, spina dorsale di tutto il lavoro, ma entrano in gioco soprattutto un jazz di impronta libera e spirituale, grazie alla presenza del grande Pharoah Sanders, il carattere ritmico marcato di alcune sezioni data la presenza di ben quattro batteristi, Jerry Marotta (Peter Gabriel), Chad Smith (Red Hot Chili Peppers), Hideo Yamaki e Satoyasu Shomura e da Adam Rudolph alle percussioni, sprazzi di elettronica ambientale, ed un piccolo contributo al piano elettrico da parte di Herbie Hancock.

Nei momenti migliori sembra di stare a metà strada fra “Bitches Brew” ed alcune parti strumentali dei migliori Peter Gabriel e Talking Heads, in particolare quando le percussioni innestano irresistibili grooves. L’equilibrio generale, ed una delle chiavi di lettura del lavoro, risiede nella continua alternanza fra parti furiosamente ritmiche, che hanno in maggior parte protagonisti solisti i sax di Sanders e di Peter Apfelbaum, ed improvvise ed inattese pause ambientali, nell’ambito di composizioni che sembrano orientate alla perenne trasformazione ritmica ed armonica. ‘Niente è vero, ogni cosa è permessa’ riassume Laswell a proposito della natura di questa musica, e, davvero, l’ascolto presenta sorprese continue. Così, l’iniziale “Golden spiral“, dopo una breve intro giocata fra sax e piano elettrico, prende quota sulle ali del sax per poi congelarsi in un cosmo elettronico dominato dai riverberi del sassofono. “Tabu“, dopo una parte iniziale di marcata enfasi ritmica, con il flauto, l’organo ed il sax impegnati a creare un compatto blocco ritmico melodico, si cristallizza nell’atmosfera estatica delle tastiere di Peter Aftelbaum scandita ritmicamente dall’inquietante ticchettio metallico delle percussioni. “Shadowline” inizia all’ insegna della dinamicità con il tema magniloquente del sax doppiato dal basso adagiato su un fitto tappeto multiritmico che gradualmente conduce l’atmosfera verso orizzonti free alternati a scansioni ritmiche più regolari, per lasciare poi spazio ad un solo delle percussioni di Rudolph. “The seven holy mountains”, lungo commiato dominato dal lungo soliloquio del sax soprano e, dopo varie pause e cambi di tempo, pronto a trasformarsi in una sezione finale dalle sfumature soul in cui fa capolino un hammond e torna in proscenio il basso del leader con uno dei suoi maestosi riff.

Rispetto al passato Bill ci offre un lavoro meno eterogeneo e più concentrato, ma rimane unico nella creazione di microcosmi sonori, dotati di misteriosa vita propria!!!


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