Il 2018 è stato un anno eccezionale per Beth Hart. La cantante ha tenuto alcuni dei concerti più importanti della sua carriera – esibendosi nella Ziggo Dome di Amsterdam e nella Royal Albert Hall di Londra – e ha realizzato il suo primo tour da solista negli Stati Uniti, che tra l’altro è andato completamente esaurito. Dopo aver collezionato tutti questi successi la Hart è tornata in studio per dar vita a questo nuovo album, “War In My Mind”, in cui ha collaborato con il produttore Rob Cavallo (Dave Matthews Band, Phil Collins, Green Day, ecc.). Beth Hart ha avuto una carriera incredibile, iniziata con una serie di album di successo negli anni Novanta e riesplosa negli ultimi anni sia come solista che come cantante per virtuosi della chitarra come Joe Bonamassa, Slash, Buddy Guy e Jeff Beck. Oggi è riconosciuta in tutto il mondo come una delle grandi cantanti dei nostri tempi, con una voce “che ricorda Etta James e Janis Joplin” (Music Connection), che le ha permesso di scalare la Blues Album Chart di Billboard e di ricevere numerose nomination GRAMMY e Blues Music Awards.
L’album vede Beth nella sua forma più passionale ed emotiva. In questi brani la nostra mette a nudo la sua anima come mai prima, senza nascondere le sue imperfezioni, le proprie debolezze, i suoi lati più oscuri ed i propri demoni. Come saprete la cantante soffre di disturbo bipolare che ha influenzato enormemente la carriera artistica. Ancora oggi che è riuscita a trovare un certo equilibrio il suo umore subisce sbalzi repentini, un momento le cose sembrano funzionare, poi prendono una piega totalmente negativa e così di continuo. Il risultato è un disco coinvolgente, agrodolce e viscerale, che di certo non può lasciare indifferente l’ascoltatore.
In questo contesto di incertezza umorale nascono i brani migliori. Per esempio l’iniziale “Bad woman blues” che subisce l’influenza del gospel, ma in seguito si ricompone su un solido rock-blues dal ritmo incalzante con un ritornello ricorrente che potrebbe anche funzionare in radio grazie ai cori che hanno quel non so che di pop. Su tutto si eleva la voce che ha raggiunto ormai la sua piena maturità. La title track è una ballata di grande impatto con il piano a dettar legge che si lascia trascinare in uno sviluppo epico, forse perché incentrato sull’argomento “salvezza”. La canzone è ispirata dal rapporto di Beth con Pastor Kim, ministra evangelica che è stata punto di riferimento nella sua lotta contro l’alcolismo.
Non mancano mai nei suoi album brani che profumano di jazz dalle atmosfere tenere e sopite come “Without words in the way”, introdotta da un contrabbasso e da una batteria spazzolata, un organo che cuce dietro e la voce che dispensa emozioni grazie ad una interpretazione vissuta e ad alto tasso di coinvolgimento. È un disco in cui prevalgono pezzi lenti. Si discosta “Spanish lullabies”, una sorta di flamenco-rock che da vivacità alla raccolta. C’è spazio per un’altra ballata pianistica, “Rub me luck”, quasi una colonna sonora grazie alla presenza di un arrangiamento orchestrale.
Una prova solida e soddisfacente, potrebbe essere il lavoro della definitiva consacrazione, anche se, in sede di produzione, è stata aggiunta una patina di radiofonicità che ogni tanto disturba!!!


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