Da casa Appaloosa è uscita un’esaustiva raccolta del cantautore americano dell’Illinois del quale abbiamo potuto apprezzare in Italia il suo talento. È una retrospettiva di canzoni prese dai suoi primi tre album: “Lincoln’s Man”, “Land Of The Shadows”, “What We Lost”. Racchiude materiale scritto dal 2005 al 2012. Il titolo è semplicemente “Portraits”, perché queste tracce sono dei ritratti di persone, luoghi, eventi o ricordi. Ben Bedford con questo lavoro cerca di fermare delle immagini, creando racconti che coinvolgono emotivamente l’ascoltatore. Con una piccola dose di sospensione ed incredulità, ci porta in viaggio dentro ognuna di queste storie.
Ben ha già cinque titoli al suo attivo, di cui l’ultimo, veramente splendido, fu “Hermit’s spyglass”, pubblicato nel 2018. Ha creato come un set di vignette che stanno da sole come narrazioni e lavorano insieme come parte di un qualcosa coeso e soddisfacente, fungendo da introduzione perfetta a coloro che stanno appena scoprendo la sua musica e un’aggiunta attraente per coloro che hanno più familiarità con il suo catalogo.
Le cose iniziano con forza con “Lincoln’s Man”, la title track del suo album di debutto è un racconto di otto minuti in tempo di guerra. Anche se è solo una canzone divertente, questa mini-epopea, che narra le osservazioni di un soldato determinato, ma alla fine condannato, è scritta in modo acuto e suonata magnificamente, con il banjo che introduce la canzone che risuona piacevolmente con la meravigliosa linea di contrabbasso ringhiante. La voce forte di Ben, che a volte ricorda Lyle Lovett ma più spesso il venerato Townes Van Zandt, contiene accenni di stanchezza, ma c’è un orgoglio e una determinazione che conferiscono alla canzone ancora più carattere. “The Sangamon”, dal suo secondo album, del 2009 “Land of the Shadows” , è un pezzo suonato più dolcemente con una linea acustica stabile e ben selezionata alla base della canzone e una seconda chitarra, sulla scia di Dave Rawlings che suona con Gillian Welch, che compare in alcuni punti e si avvolge intorno alla parte principale. Anche il violoncello di Ron de La Vega è adorabile, conferendo a questa storia di dolore e catarsi un’aria opportunamente malinconica.
“What was Lost”, la title track del suo disco del 2012, è un’altra narrativa riflessiva con cori evocativi di sottofondo che tornano e il violoncello che fornisce un bellissimo climax. Un’altra aggiunta particolarmente efficace all’arrangiamento qui è la chitarra elettrica di Chas William. “John the Baptist”, la prima canzone di “What was Lost”, è molto diversa dal precedente, ma un altro bell’esempio di arrangiamenti entusiasmanti, con il dinamico organo Hammond di Dennis Wage che è un piacere per le orecchie. La terza e ultima traccia di “What was Lost” è “Guinevere is Sleeping”, un pezzo di musica folk più diretto rispetto ai due precedenti, con un arrangiamento più semplice di chitarra elettrica e morbide corde che incorniciano la voce e la chitarra acustica di Ben. È una canzone meravigliosa che mette in risalto appieno la varietà di materiale che compare nella raccolta.
“Amelia” presenta una voce grintosa, che ricorda Dylan dell’era di “Freenwheelin’”, ma questa canzone è guidata dal ritornello, evocando più l’euforia della guerra rispetto allo stanco protagonista di “Lincoln’s Man”. Anche in questo caso, i cori sono fondamentali, così come la chitarra elettrica e alcuni rumorosi Dobro che suonano, rendendo questo un pezzo diretto e molto divertente. In confronto, “Land of the Shadows” ci riporta nel territorio di Townes, con una scrittura sottile e potente che racconta una triste storia di razzismo e violenza. È una bellissima canzone e forse la mia preferita, anche se risulta difficile scegliere.
“Portraits” è una compilation che mostra chiaramente il talento di Ben Bedford come cantante, compositore e musicista. Canzoni come “Land of the Shadows”, “What was Lost” e “Twenty One”, per citarne solo tre, mostrano testi raffinati cantati con equilibrio e un tocco gentile che migliorano magnificamente la narrazione, mentre “John the Baptist” e “Goodbye Jack “ suggeriscono un dramma e risultano molto teatrali, con la band che si diverte molto. Ci sono esempi di bella scrittura in tutte e dodici le tracce e una splendida musicalità, a volte quasi grandiosa ma principalmente sottile e intelligente, che aiuta sempre in modo impeccabile la canzone ad emergere in tutte le proprie qualità!!!
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