ANDY BELL: “View From Halfway Down” cover album“The View From Halfway Down” è il primo album solista di Andy Bell dei Ride via Sonic Cathedral. Il lavoro, ispirato dalla morte di David Bowie avvenuta nel 2016, è stato composto negli ultimi quattro anni e terminato durante la quarantena. «Ho sempre voluto fare un album da solista – ha dichiarato Bell in una nota stampa – Ho sempre detto che l’avrei fatto, anche se non avrei mai immaginato accadesse o che suonasse in questo modo. Avevo questo mucchio di brani quasi finiti, insieme ad altre centinaia di idee che ho accumulato da quando ho cominciato a fare musica, e il lockdown mi ha dato l’opportunità di presentarle al mondo».

È stato un disco prodotto da una serie di eventi fortuiti. Come ogni creativo, Andy aveva demo, taccuini, idee in parte mai completamente realizzate, con una velleità per tornare a loro prima o poi. Uno di questi eventi fu la morte di Bowie nel 2016: questa perdita ha portato Andy a fare il punto e decidere che forse queste canzoni avevano bisogno di una vita. Iniziò a registrarle con l’ex collega dei Beady Eye Jem – e poi la reunion dal vivo dei Ride divenne una vera e propria realtà a tutti gli effetti. Il secondo accadimento era quello di avere tanti pezzi da parte che aspettavano solo di prendere forma compiuta, brani quasi terminati e centinaia di idee solamente abbozzate che stavano per essere ignorate, ma che il lockdown ha riportato in auge.

L’annuncio dell’album è arrivato l’11 agosto, il 50esimo di Andy, con un video drop per “Love Comes In Waves”: proprio il tipo di apertura di cui un album ha bisogno: un rintocco a dodici corde come un glorioso 7”mod-psych britannico verso la fine dell’estate ’67. “L’amore arriva in onde / onde psichedeliche”, canta Andy, ed è un’ondata euforica di una melodia, quel riff a dodici corde che richiama The Byrds. Dall’estatico psych pop dell’apertura, ai loop inebrianti di “Indica” e “Skywalker” profondamente incentrati sul groove, le otto tracce mescolano melodie estive con paesaggi sonori e sperimentazione in studio. Il risultato finale si colloca perfettamente tra lo shoegaze widescreen di Ride e l’elettronica strutturata di GLOK, variamente ispirata a The Stone Roses, Spacemen 3, The Beatles, The Byrds, The Beta Band, Stereolab, Neu!, Can, John Fahey, The Kinks, The La’s, The Who.

“Ghost Tones” suona in finger-picking e si fa strada verso il nostro cuore colpito ripetutamente da sventure. È uno strumentale pop-barocco autunnale; molto britannico; Bert Jansch con qualcuno come (gli inglesi) Kaleidoscope o forse “SF Sorrow” -era The Pretty Things.

A metà di “Heat Haze on Weyland Road”, l’ultimo degli otto brani, e sebbene sia piuttosto eclettico nella sua portata stilistica, ti rendi conto che non ha davvero sbagliato un colpo nella stesura della raccolta – nemmeno per un momento. Ci sono motorik, mod pop, psych-folk, elettronica, tocchi Madchester, a volte anche tutto quanto sopra, intrecciato insieme all’interno di una melodia – ed è tutto coeso.

È frizzante, è stravagante, sarà proprio lì nelle liste di fine anno. Essenziale, divertente ed esplorativo!!!


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