Originaria di New Haven, Connecticut (USA), il viaggio di Akua Naru verso lo status di poeta globale comincia presto, durante il suo primo apprendistato nella chiesa pentecostale.
Immersa nella musica gospel, è stato lì che una giovane Naru è stata introdotta in un mondo di donne di colore, dal pastore al direttore del coro, intrise di tradizioni musicali e oratorie afroamericane.
Nel giro di pochi anni il suo potente lirismo, il talento per la narrazione e la capacità di integrare le tradizioni orali nella sua musica, con un eloquio senza pari, hanno catturato l’attenzione di studiosi e attivisti in tutto il mondo.
Akua ammette di scrivere per riempire un vuoto che andava riempito, perché nel mondo dell’hip hop l’accesso alle voci femminili è stato sempre estremamente limitato. A causa di un retaggio di silenzio nel quale essere donne e nere ha significato sfruttamento, emarginazione e tutti gli stereotipi dannosi che durano fino ad oggi, Akua Naru dichiara con fierezza la sua intenzione di “fornire un corpo di conoscenze” e “onorare le voci delle madri delle madri” ponendo al centro della sua indagine poetica le esperienze delle donne nere.
Riconosciuta in tutto il mondo come voce conscious forte e autorevole, ha tenuto conferenze con Bakari Kitwana, Dr Tricia Rose e per Chuck D dei Public Enemy. “The Blackest Joy” è il suo terzo album, e si concentra in particolare sulla maternità e sul patrimonio africano. ‘My Mother’s Daughter’, primo estratto, è una canzone a tratti oscura e mistica, altrove radiosa e ricca di speranza; un racconto generoso di femminilità nera, spiritualità dell’Africa occidentale, appartenenza e sorellanza.


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