SONIC BOOM- “All Things Being Equal”“All Things Being Equal” è l’album di Peter Kember in arte Sonic Boom (ex Spacemen 3) che segue un lavoro che in questi anni è stato più che altro legato alla produzione. Ricordiamo il suo contributo negli ottimi “7” dei Beach House, “Tomboy” di Panda Bear, “Congratulations” dei MGMT solo per citarne alcuni, mentre per quanto riguarda la musica composta in proprio – in verità, collaborazioni – segnaliamo quelle con Jasamine White-Gluz, in arte No Joy (“Slorb” del 2018) e i nostrani Julie’s Haircut (“N-Waves / U-Waves” del 2008 – sempre per la band Kember ha curato le parti di chitarra in un paio di brani di “After Dark, My Sweet”).

Registrato nei dintorni di Sintra, in Portogallo, con la voce ben in evidenza rispetto al mix (proprio come nei dischi di Sam Cooke e Everly Brothers, scrive Kember nella nota), il disco viene anticipato da un avvolgente singolo dream psych per modulari e voce dal retrogusto kraftwerkiano (quelli di Ralf und Florian). S’intitola “Just Imagine” ed è la storia di un bambino che, immaginando se stesso in una nube temporalesca, è guarito dal cancro attraverso la pioggia. Ad accompagnarlo, un relativo videoclip/visualizer con lo stesso Kember in psichedelica trasparenza.

Trent’anni? Ma davvero? Oh d’accordo, è solo un nome (d’arte). Però è il suo. L’ultimo album a nome Sonic Boom era datato 1990. Trent’anni davvero. Addirittura erano ancora in piedi gli Spacemen 3. Poi certo, in tutti questi anni Peter Kember non è stato con le mani in mano e ha dato vita a diversi progetti – Spectrum ed Experimental Audio Research i principali – ma la sua attività si era un po’ diradata e lui non pubblicava nulla da un po’, con l’eccezione della partecipazione a un tributo a La Monte Young, suo grande ispiratore da sempre.

Il disco in questione ha cominciato a prender forma nel 2015 attraverso una serie di jam elettroniche che non appena ascoltate da Tim Gane degli Stereolab, vecchio amico di Peter, lo ha spinto a pubblicarle. Aveva preso la decisione di farlo stampare, gli è venuta un’idea che lo ha costretto ad altri tre anni di lavoro, cioè l’aggiunta delle voci sullo stile della vecchia soul music e qualche spoken world. Questo è stato realizzato in Portogallo, in un quartiere di Lisbona, Sintra per l’esattezza, per cui nel suono sono state assorbite anche la bellezza del luogo, il sole, la natura, così come le proteste globali. Naturalmente non bisogna trascurare gli elementi tecnici, ad esempio l’intrusione di estranei (camei vocali di Panda Bear e Britta Phillips) e la lista degli strumenti utilizzati quali il Buchla 208 Music Easel, Kilpatrick Phenol Modular, EMS Synthy AKS, Yamaha PSS480, vocoder, Electrix vocoder e una marea di altri marchingegni, come potete notare i synth sono parecchi e quasi tutti di vecchia generazione. Le trame musicali sono tanto ipnotiche quanto “polifoniche”. Ma si tratta a tutti gli effetti di un disco di Sonic Boom. Oltre a sfoderare il suo personale immaginario e un proverbiale armamentario di suoni iper-psichedelici, compie una sintesi efficace da diverse prospettive e diversi interessi della sua attività musicale. La sperimentazione da un lato, ma anche una certa ricerca della melodia, l’amore per i sintetizzatori di ogni epoca e alcune ispirazioni che gli riconosciamo in tutta la sua evoluzione. Psichedelia è pur sempre una parola chiave. È comunicativo Kember, come non accadeva da decenni. Prendete “Just a little piece of me” fornisce una versione mistica e danzabile, mentre “Things like this (A little bit deeper)” ha il ritmo di un allegro, lisergico girotondo ed è, a mio parere, il momento più alto della raccolta e forse dell’intera carriera del nostro. Ed è qui però che si inserisce di colpo una deviazione più algida e sinistra: non è solo il testo recitato di “Spinning Coins and Wishing on Clovers” a mettere un po’ i brividi ma tutta la sua colonna sonora surreale, una musique concrète con vaghe sfumature horror; né sono da meno, in questo senso, i nastri che girano all’indietro, alla moviola, su se stessi, di “My Echo, My Shadow and Me”. “On A Summer’s Day” sembra cercare quasi un incontro tra la melodia pop occidentale e una immaginata musica cinese, e “Tawkin Tekno”, in cui dopo una intro alla Kraftwerk rivive l’incubo postblues dei Suicide.

Abbiamo dovuto aspettare tre decenni, ma abbiamo avuto ancora la possibilità di ascoltare quello che Sonic Boom era agli inizi e per questo lo ringraziamo sentitamente!!!


Category
Tags

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *