The-Soft-Pink-Truth-cover-2020Drew Daniel, metà del duo Matmos, torna a nome The Soft Pink Truth con un album, il cui titolo è una frase di San Paolo, a un lustro di distanza dall’autoprodotto ” Why Pay More?”. Assieme al partner M.C. Schmidt, Daniel ha fatto dell’illustre carriera dei Matmos una vera e propria fucina teorica, trasformando la ricerca dei found sound più disparati in un punto di partenza per irriverenti investigazioni. Guardando alla loro discografia in retrospettiva a tratti è più facile ricordare le idee dietro ai dischi, più che i loro titoli: quello interamente creato con i suoni di una sala operatoria; quello realizzato a suon di telepatia; quello in cui suonavano una lavatrice; quello in cui, per celebrare i loro 25 anni di unione personale e artistica, usavano i più svariati oggetti di plastica a mo’ di strumenti, immortalando la nefasta resilienza del materiale.

Ritornando al titolo del lavoro, esso allude ai tempi grigi che l’amministrazione di Trump ha originato con la propria politica. Il musicista non ha voluto però proporre un’opera di reazione alla situazione, quanto un album con un messaggio sociale propositivo, una riflessione nel tentativo di ritrovare quiete e pace interiore all’indomani dell’elezione di Trump. Per la riuscita della proposta ecco che giunge l’aiuto di una serie di collaboratori: Angel Deradoorian, Colin Self e Jana Hunter alle voci, il compagno di una vita M.C. Schmidt al piano, Koye Berry, John Berndt, Sarah Hennies (vibrafono e percussioni) e Andrew Bernstein al sax (Horse Lords). Come Soft Pink Truth il nostro ha proposto un po’ di tutto, dalla post disco dell’esordio del 2003, le cover d’epoca new wave nel successivo “Do You Want New Wave Or Do You Want The Soft Pink Truth?” (2004) e persino quelle black metal nel terzo, “Why Do The Heathen Rage?” (2014), fino alle situazioni alt-dance di anonimi materiali audio trovati casualmente nel web (il quarto del 2015 solo DL su Bandcamp).

Per la prima volta attinge al bacino dell’ambient e della classica contemporanea alla ricerca di una dimensione estatica che, dice la cartella stampa, è il prodotto di una creatività intesa come «automedicazione». In quanto ad estasi ci siamo eccome. Le voci di Angel Deradoorian, Colin Self e Jana Hunter, fanno da guida in questa lenta, rilassante ascesa verso il sublime, spesso modulando a mo’ di mantra una sola parola o un’intera frase, come il titolo dell’album nell’apripista” Shall”, una meravigliosa, cullante ninnananna trascinata da sfumati droning di sottofondo e impreziosita dallo scoppiettare di un fuoco in primo piano. “We” prosegue sulla stessa falsariga introducendo un beat techno che origina un funky armonioso.

“Go” sembra una parentesi fuori luogo, essendo un pezzo ambient isolazionista, mentre “On” è sospeso in un’atmosfera quieta. “Sinning” è forse il momento più alto, punto d’incontro tra una contemplazione di tipo mistico e il carburare di una scaramantica sessione danzereccia.

Un disco ricco di colori e sfumature, difficile da aspettarsi da un autore quale Drew Daniel, che ci fa un regalo di puro spiritualismo pop!!!


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