BRANT BJORK- “Brant Bjork”Tredicesimo disco solista per lo storico batterista dei Kyuss, nonché produttore, nonché polistrumentista, songwriter, ed indiscussa figura di spicco di tutto il panorama stoner: un tassello decisamente importante e significativo per il percorso di questo musicista, che anche dopo la dipartita dal gruppo madre ha sempre saputo reinventarsi.

Dopo il quasi strumentale Jacoozzi, Brant Bjork riprende la rotta già percorsa con “Local Angel” durante lo scorso decennio. Tra torridi numeri blues con tanto di percussioni simil-afro a momenti di maggiore introspezione – in cui un folk ancestrale è avvolto in mistiche folate di erba salvifica – il nostro scrive canzoni autentiche e pronte ancora a fomentare le vostre visioni desertiche.

Bjork lavora ancora a Joshua Tree ed è stato aiutato, in questa occasione, da Yosef Sanborn e John McBain (ex Monster Magnet). Questa uscita è firmata dalla nostrana Heavy Psych (che ormai si accaparra il meglio del meglio della produzione psichedelica pesante dell’oggigiorno). Il nostro sa ancora scrivere canzoni che non hanno perso un grammo del fascino desert-punk degli esordi, pezzi che poi vengono stemperati da un approccio mai violento, ma piuttosto ipnotico, con Brant che assume le vesti di uno storyteller confidenziale.

Ed è, in effetti, molto probabile che ci si trovi qui di fronte ad una delle migliori e più efficaci prove discografiche (da solista) del musicista di Palm Desert, proprio quando l’uomo del deserto decide di registrare ogni strumento presente nel disco, senza collaborazioni di sorta. “Jesus Was A Bluesman non può facilmente uscire da quei canoni di vero e proprio anthem, conscio del fatto di porsi come tale, fatto apposta, se vogliamo, ma capace di dare al fan stoner quello di cui c’è bisogno. Alla grande anche il proseguo di altri brani come “Cleaning Out The Ashtray”, che ammorbidisce ancora i toni e resta quasi un girotondo pulp che sarebbe andato bene in un romanzo di Bukowski, poco più in là di San Pedro. Menzione d’onore anche per la finale acustica “Been So Long”, memore degli anni Novanta, dei Fu Manchu ma anche del grunge nirvaniano di quei tempi.

Non crediate di trovarci nulla di trascendentale, nuovo o particolarmente discostantesi dalle coordinate già ampiamente tracciate nel corso del suo tempo. Quello che, però, fa schioccare ancora le dita e muovere la testa a tempo è la presenza di canzoni che funzionano per la loro semplicità, la loro efficacia e una vena che comunque, ad ogni modo, riesce comunque a risultare autentica!!!


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