Estate 2006, fornace di Gramignazzo di Sissa lungo l’argine del fiume Po e nelle vicinanze del ponte del Diavolo, assistetti ad una performance coinvolgente ed ispirata di William P. Hormans, in arte Watermelon Slim, che non si accontentò di incendiare la folla presente grazie alla propria esibizione, ma decise di salire sul palco per un pezzo con Big George Brock, “My Babe”, in cui entrambi inginocchiati uno di fronte all’altro suonarono l’armonica appoggiandosi alla spalla dell’altro. Un momento che segnò un cambio di marcia per il “Rootsway Festival”.
Aveva esordito nel 2004 e si presentò al festival per presentare il suo nuovo lavoro, “Watermelon Slim and The Workers”, prodotto e stampato dai tipi della Northerblues Music. In seguito pubblicò diversi altri album sempre per la stessa etichetta tranne quello di due anni fa “Golden boy”.
Erano alcuni anni che non seguivo l’attività del nostro, così ho deciso di dare un ascolto alla sua nuova fatica “Church of the blues”. Durante la sua carriera si è sempre mosso su e giù fra territori country e blues, fra honky tonk, ballate, e traditional più vicini al gospel ma, sempre attento ai temi sociali, non manca mai di rivolgersi alle vittime del sogno americano. Anche in questa opera la polemica continua e la preoccupazione riguarda la direzione intrapresa dall’attuale sistema politico, autoritario e decadente. Inquietudine espressa sia in “Mni Wiconi.The Water Song”, un soul sensuale increspato dalla chitarra arrabbiata di Joe Louis Walker, che in “Post Modern Blues”, un sudato swing in cui sbuffano le trombe quasi ad indicare l’educata protesta verso il potere stordente della tecnologia e il sospetto che sia opera di un piano governativo e, ancora, nello spavaldo southern “Charlottesville” dove si allude amaramente a presenze naziste per le strade.
Watermelon non gira più da tempo con i fidati The Workers, per questo disco si è fatto affiancare da una serie di “predicatori” della “Chiesa del blues” di tutto rispetto quali Bob Margolin, Sherman Holmes, Albert Castiglia e al già citato Joe Louis Walker. Sette cover e sette pezzi originali, un blues rispolverato e reso attuale nella vivacità e nella forza, che non riesce a perdere di fascino grazie a quel solco personale che appartiene al suo interprete.
Tra le cover, il superclassico di Muddy Waters “Gypsy woman” viene reso con grande intensità grazie all’armonica del leader e alla chitarra raffinata di Margolin.
Watermelon Slim incarna le radici più profonde e più autentiche della musica americana e “Church of The Blues” non è altro che la messa perfetta, per chi del blues ne fa una religione.
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