Era il 1984, erano usciti tanti bei dischi e tra questi veniva segnalato l’album ‘Red Roses For Me’ dei Pogues. Quando l’ascoltai per la prima volta non provai alcuna emozione, mi sembrava un disco che mischiava le radici folk britanniche con un suono sporco ed aggressivo che possiamo definire punk. C’era comunque qualcosa tra i solchi che m’intrigava, così mi riproposi di studiarlo meglio, ascolto dopo ascolto, brano dopo brano: alla fine ne rimasi ammaliato. Avevo scoperto una musica in cui non ero molto ferrato ma che prometteva bene per il futuro. Il gruppo nacque per iniziativa di Shane MacGowan, all’inizio degli Anni ’80 con la denominazione di Pogue Mahone (da póg mo thóin, baciami il culo in gaelico) che verrà abbreviato il Pogues nel momento in cui firmarono per la Stiff Records. la musica che proponevano era folk, ma non quello codificato e così attento alla forma che si ascoltava nei club, ma piuttosto venato da uno spirito ribelle ed anticonformista che lo rendeva molto interessante. Il gruppo poteva contare su Jem Finer al banjo e Spider Stacy al tin wistle a cui si aggiungeranno il batterista Andrew Ranken ed il polistrumentista James Fearnley. Cominciarono a suonare nei clubs ed ottennero una buona risposta dal pubblico e decisero così di intraprendere una carriere professionale reclutando anche la bassista Cait O’Riordan. Il disco di cui vi voglio parlare è il secondo, uscito nel 1985, ‘Rum, Sodomy & the Lash’. È un album che alle mie orecchie parve un deciso passo in avanti rispetto all’esordio. La commistione tra strumentazione tradizionale e ritmi aggressivi ha raggiunto un punto qualitativo molto alto, merito anche della produzione di un grande Elvis Costello. Shane era al top a livello di ispirazione, tanto da poterlo inserire tra i grandi del genere. Era difficile distinguere quali fossero i traditionals e quali i pezzi autografi. Anche le liriche riportavano in auge le figure dei beautiful losers che la wave allora imperante aveva dimenticato e messo in disparte. Tra i traditionals una nota di merito particolare va a ‘Dirty Old Town’ di Ewan McColl, una delle più belle folk songs del secolo scorso. Altra perla è ‘And the Band Played Waltzing Matilda’ di Eric Bogle in cui Shane ci lascia a bocca aperta con un’interpretazione intensissima che fa rivivere l’angoscia di tutti quei giovani australiani mandati al massacro durante la Prima Guerra Mondiale. Di grande rilevanza anche alcuni strumentali come ‘Wild Cats Of Kilkenny’ in cui si percepisce la gioia delle danze durante le feste di paese oppure ‘A Pistol For Paddy Garcia’ in cui i nostri si dimostrano molto bravi anche su temi come il country e il folk americano. Forse non il loro capolavoro, che per tutti è il successivo ‘If I Should Fall From The Grace With God’, ma di sicuro il mio preferito.

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