THE MOUNTAIN GOATS: “Getting Into Knives” cover album“Getting Into Knives” è il diciannovesimo album in studio dei Mountain Goats, disponibile via Merge Records. In arrivo a distanza di un anno dal precedente “In League with Dragons”, quest’ultimo lavoro della storica band californiana è stato registrato nell’arco di una settimana presso i leggendari Sam Phillips Recording Studio di Memphis, Tennessee, precisamente nella stessa stanza in cui i Cramps hanno registrato il loro album di debutto del 1980. Per queste sessioni, Darnielle & co. sono stati nuovamente assistiti dal produttore Matt Ross-Spang, che in precedenza aveva progettato il loro LP del 2019.

Grazie a questo disco i nostri festeggiano il vicino trentesimo anniversario della loro carriera, anche se della formazione originale è rimasto solo il fondatore John Darnielle (questa volta è stato accompagnato da Matt Douglas, Peter Hughes e Jon Wurster).

Il risultante progetto di 13 tracce è certamente un prodotto di questo momento molto specifico nel tempo, o come dice un comunicato stampa umoristico, ‘l’album perfetto per i milioni di noi che hanno trascorso molte ore di attività a riflettere se dovremmo essere onesti con noi stessi’.

Ho sempre avuto una particolare simpatia nei confronti del gruppo, una band che non ha mai sfornato un capolavoro, ma che ha saputo mantenere una dignità artistica costante durante l’intera carriera. Non ha, neppure, cambiato la propria cifra stilistica, un folk-pop lo-fi arrangiato in modo elegante e spartano con le poche finanze avute a disposizione nel corso degli anni. Sono stati ispirazione per tanti, consapevolmente oppure no, ma nessuno lo ha mai riconosciuto.

Il leader è una figura simpaticissima, dotato di notevole intelligenza e anche uno scrittore di libri molto piacevoli da leggere. Musicalmente si caratterizza per una voce molto peculiare, è fantasioso nel comporre e molto bravo a far risultare i brani sempre diversi, ma in realtà sempre uguali, grazie alla fantasia di cui madre natura lo ha dotato.

In quest’occasione mi soffermerò su alcune tracce per sottolineare le stranezze di cui sono dotate su un impianto sonoro facilmente riconoscibile.

Prendete “As man candles as possible” con le sue rombanti percussioni e ditemi che non si tratta di un pezzo veramente bello, oppure “Tidal wave”, con un basso funk estremamente legnoso e il pianoforte che fa l’eco a fianco di un fiato stonato, per me ancora una meraviglia. Ancora “The last place i saw you alive” mette in mostra una poetica superiore grazie a parole che in pochi sono in grado di scrivere, mentre “Harbor me” mette in risalto una sei corde notturna e jazzata e un coro maschile che sa emozionarci nel profondo. Poi sono presenti brani che non possiedono lo stesso appeal, ma non importa, bastano quelle descritte per farci amare il disco.

Un classico minore per questi tempi inquietanti ed incerti!!!


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