Ho sempre considerato Sheryl Crow una Bonnie Raitt in minore, voce accattivante, canzoni discrete, ma arrangiamenti troppo orientati al FM quindi di facile presa. Vi domanderete perché mai allora perda tempo a parlare del suo nuovo album.
La ragione è semplice, “Threads” sarà l’ultimo album che Sheryl pubblicherà, continuerà a scrivere testi e ad esibirsi sui palchi, ma non darà più alle stampe i propri lavori. Il motivo risiede nel fatto che secondo la signora Crow è completamente cambiata la fruizione della musica da parte del pubblico, non è più interessato ad ascoltare un intero disco di un singolo artista, ma preferisce ascoltare playlist preparate da piattaforme tipo Spotify oppure personalmente.
Sheryl Crow, la cantautrice americana da 9 premi Grammy e 50 milioni di dischi nel mondo, dice stop: non alla creatività ma allo sforzo di «mettere insieme una raccolta di canzoni che abbia un messaggio e una coerenza». Dopo la chiusura nella primavera dello scorso anno della fabbrica che fu artefice della stampa di non so quanti dischetti per l’industria discografica, ecco un altro segnale forte che l’industria musicale americana non crede più al supporto fisico come mezzo per l’ascolto della musica nei modi tradizionali, quelli che hanno accompagnato la mia esistenza.
Per dire addio al formato ha scelto un progetto di brani originali e cover con mostri sacri che l’hanno ispirata — da Keith Richards a Eric Clapton, Bob Dylan e Johnny Cash — così come promesse della nuova generazione. In un’intervista letta la nostra cantautrice non si dice neppure dispiaciuta, ma serena nell’accettare che la tecnologia ha cambiato gusti e tendenze.
L’opera è nata senza un disegno predefinito e un concetto chiaro. Lisa Kristofferson tempo fa le chiese di cantare alcune canzoni di Kris, che non stava bene, le incise e rimase profondamente colpita dall’importanza del momento, dalla profondità e dall’effetto di alcune collaborazioni. Prese in mano la cornetta del telefono e contattò le persone con le quali lavorò in questi 28 anni. Questo album è un omaggio a tutti loro.
Il disco presenta duetti, il più esaltante dei quali risulta essere quello virtuale con Johnny Cash “Redemption Day”, ma altri pezzi affascinano all’ascolto. La Crow definisce il “ritrovarsi” come una esperienza cosmica, perché è difficile definire gli accadimenti, cosa abbia portato ispirazione, pare sia nata da sé, dal solo stare insieme.
Questo album permette di passare il testimone ad alcuni artisti che stanno emergendo come Jason Isbell, con il quale ha rielaborato “Everything is broken”, di Bob Dylan.
In definitiva un lavoro che si lascia ascoltare con piacere, ma che pone enormi dubbi sul futuro della musica così come l’abbiamo sempre intesa!!!


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