Il terzo album di Fogarty ha una prospettiva sonora completamente diversa dall’acclamato disco del 2017 “The Curious Hand”. Stanco della chitarra e alla ricerca di qualcosa di più oscuro rispetto al predecessore, Fogarty ha deciso di affidarsi maggiormente ai synth e alle drum machine, autoproducendo la raccolta. ‘Ho deciso di sperimentare con nuovi modi di incorporare l’elettronica nel processo di scrittura, e in alcuni casi sbarazzandomi dei processi di scrittura convenzionali’.
L’Irish alt-folk ed alchimista elettronico Seamus Fogarty ha arato un solco molto personale nel lavoro di tre anni fa, dipanando storie come racconti contemporanei ispirati da una notte passata a dormire in una chiesa alla metropolitana di Londra e l’anima tormentata di una città. Alla base di queste visioni c’è un’incredibile serie di suoni trovati, intrufolati nei suoi paesaggi sonori, unici come simboli nascosti per accendere il subconscio dell’ascoltatore.
In tre anni possono succedere molte cose, ma non sorprende, guardando l’approccio sperimentale di Fogarty in passato, che abbia cercato una nuova tela su cui dipingere per il suo terzo album “A Bag Of Eyes”. Quindi ha scelto di appoggiarsi maggiormente su synth e drum machine e, inoltre, di autoprodursi. Il LP è stato registrato a Londra, nel Kent e nell’East Sussex e presenta la partner di Fogarty Emma Smith, Meilyr Jones, i collaboratori di lunga data Leo Abrahams, Aram Zarikian e John Fogarty, oltre a qualcuno leggermente più inaspettato, un membro del pubblico registrato dal vivo a uno dei concerti di Seamus a Dublino.
Ha cercato di rompere con la convenzione del genere in cui è stato inserito e al quale non rinuncia ad appartenere, si è sentito insofferente nei confronti della sei corde, ma ha cercato di tenere questi due estremi ben presenti nel lavoro.
Senza carenza di glitch e registrazioni, c’è davvero un pick’n’mix di suoni su questo LP. Per prima cosa, c’è il sussulto industriale, la chitarra fannullona, una cacofonia di sassofoni combinata con il grido di un bambino. E c’è una chiara sfumatura di genere nella musica in questo record, anche all’interno delle tracce stesse che si susseguono. C’è un’idea chiara per sperimentare e vedere come potrebbe cavarsela, concentrandosi sulla musica e certamente non sul marketing.
Tuttavia, abbiamo ancora la sensazione che la musica sia quella di Seamus Fogarty – il banjo di “My Boy Willie”, ad esempio, non andrebbe da te, senza una realizzazione del lavoro di questo artista che ritorna alla semplicità degli esordi. C’è però un una varietà di arrangiamenti che trasmette stupore e piacevolezza che passa da sensazioni hollywoodiane come in “Jimmy Stewart” allo sbalordimento degli strappi di chitarra elettrica di “Old suit” e ancora alla foschia con cui i synth ammantano “San Francisco”.
Anche se prevalgono strutture sintetiche e ritmiche pronunciate come mai in passato non viene meno la scrittura poetica e visionaria né l’intensità delle interpretazioni autenticamente folk!!!
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