JOHN BENCE: “Love” cover albumIl compositore di Bristol John Bence torna con “Love”, il terzo capitolo di una trilogia in parte ispirata ai turbamenti della dipendenza e avviata nel 2015 con “Disquiet”, uscito per l’etichetta Other People di Nicolas Jaar. Questo è il suo primo album di inediti per Thrill Jockey, label che nel 2020 ha ristampato il secondo, ottimo volume della trilogia, “Kill, originariamente pubblicato da Yves Tumor per la sua micro-etichetta Grooming.

L’album, dice la cartella stampa, riflette il raggiungimento della sobrietà da parte dell’artista, proseguendo l’esplorazione di temi esistenzialisti, ma approdando a nuove soluzioni sonore. Alle macabre, artaudiane atmosfere dei due precedenti volumi, ispirati tanto alla musica classica quanto al post-punk più esoterico (si consiglia l’ascolto del brano “Kill/Aftermath”, del 2018), “Love” preferisce minimaliste composizioni al pianoforte, strumento cui Bence è tornato in cerca di una rinascita spirituale.

A giudicare dalla title-track, condivisa in anteprima, un elemento è rimasto centrale nelle sue composizioni: l’impiego di teatrali silenzi come trait d’union tra fosca chamber music e astratti momenti d’introspezione.

Dopo aver fatto un ingresso scioccante con il 12” “Kill” nel 2018, tutte le scommesse erano sul compositore di Bristol, che ha trasformato in un singolare album di debutto tutte le aspettative che sono state soddisfatte, capovolte, distrutte con questo straordinario disco in chiave bassa di opere strumentali. Chiaramente immerso nel mondo classico, ma scollato dalle convenzioni, John dimostra una straordinaria abilità per inchiodare emozioni fugaci ed effimere nella nuova e breve raccolta, con 10 opere succinte che parlano alla velocità del pensiero; diffrazione del ritmo e dell’umore da impetuose raffiche di arpeggi a pesanti ribassi alla Feldman con una profondità e un’atemporalità sorprendenti che rendono difficile anche localizzare con precisione dove o quando è stato fatto, se non ci è stato detto così tanto.

Attingendo alle lotte personali con l’alcolismo e la dipendenza, Bence trasmuta abilmente l’esperienza della sua vita in una serie di arrangiamenti dolorosamente cupi ma alla fine affermativi, ognuno eseguito con tale naturalezza e immediatezza che è quasi inquietante essere collocato così in profondità nei pensieri di qualcun altro, e soprattutto quando viene tenuto contro la fredda e dura luce della chiarezza che viene con la sobrietà. Il nostro non è sicuramente un virtuoso dello strumento, ma un essere umano che suona note diradate e solitarie utilizzando timbri bassi e rigorosi. Quello che risulta è un effetto altamente emotivo e cinematografico: ti poni in attesa di udire le note uscire dalla tastiera come se riuscissi a vederle

Un’opera che mi ha folgorato, ma comprendo che non possa essere adatta a tutti i palati!!!


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