Ecco un nome che potrebbe risultare sconosciuto ai più, ma non a chi è attento al sottobosco musicale americano che da sempre elargisce produzioni interessanti per quanto minori.
Scott H. Biram è in giro da parecchi anni e continua imperterrito la sua attività di one man band che è ancora in grado di proporci un blend di gospel, blues, country, psychobilly e punk che raramente potreste ascoltare in questa veste, come se fosse un personaggio del sud nel periodo della “Grande Depressione”.
Probabilmente si ritiene come quei predicatori di colore che stavano fuori dalle chiese con la chitarra e una bottiglia di Bourbon buono nelle due mani. È il gioco del peccato e della redenzione, della consapevolezza che non può esserci un devastante sabato sera senza la possibilità della domenica mattina, che sono i cardini condivisi delle tradizioni del blues e del country. Dato il suo apprezzamento per la musica delle radici nella sua forma più cruda e selvaggia non sorprende che il nostro sia affascinato dagli spiriti, anche se il rapporto con il Signore non è un’esperienza semplice o pulita. È dal 2006 che le sue incisioni vengono pubblicate dall’etichetta indipendente Bloodshot e quasi tutte le sue uscite hanno in qualche modo toccato le questioni relative alla fede.
“Sold out to the devil” è una raccolta di taglio evangelico e come spesso accaduto in passato si dedica anche in questo caso a dettagliare sulle difficoltà a relazionarsi con il Signore. Si può cosi ascoltare la sua voce roca e la chitarra che non risalta per tecnica sopraffina, ma, anzi, risulta alquanto sgraziata.
Si passano in rassegna brani quali “John the Revelator”, “Been down too long”, “Get me religion”, “True religion” (versione a cappella da far venire i brividi), “Amazing grace” (anche questa a cappella ed altrettanto formidabile).
Ascoltate con attenzione “I see the light/What’s his name” e capirete perché a me questo predicatore riesce a condurmi sulla retta via, se a voi non produce lo stesso effetto state leggendo la recensione sbagliata!!!


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