Cover album RUTHIE FOSTER- “Live At The Paramount”Ruthie Foster è una gran cantante, in possesso di una voce veramente notevole che sta ulteriormente implementando. È in giro dal lontano 1997 e questo live è solo il secondo della sua carriera, ma conferma in toto i giudizi positivi letti su di lei, considerata una star in Texas. ”Live At The Paramount” è stato registrato nello storico ultracentenario teatro di Austin, dove il 26 Gennaio dello scorso anno la Foster si è portata sul palco una Big Band, formata da una nutrita sezione fiati da 10 elementi e da 3 coriste, diretta da John Miller, con in più l’apporto dei suoi abituali musicisti di riferimento alle chitarre, tastiere, batteria e basso, e con le belle orchestrazioni e la produzione del noto John Beasley (Miles Davis e Steely Dan fra i tanti). Non sarà stato facile per il pubblico presente dimenticare una simile performance, dominata dalla vocalità di Ruthie sostenuta da una formazione in grado di supportarla alla grande.

La serata si apre con l’introduzione fatta dalla giovane figlia della Foster, che poi apre con il gospel “Brand New Day” (lo trovate su “Promise Of A Brand New Day” cantata in coppia con Me’shell Ndegeoncello), in una versione inizialmente a ‘cappella’ che poi si apre alla sezione fiati e al coro, seguita dal classico Memphis Soul di una “Might Not Be Right” (sempre dal medesimo album), scritta assieme alla leggenda Stax William Bell, per poi sorprendere il pubblico in sala reinventando la famosa “Ring Of Fire” del grande Johnny Cash (da “Let It Burn”), in un fuoco lento che sfiora il blues e che ricorda anche le calde atmosfere “smooth” della nigeriana Sade o di Roberta Flack. Una rilettura notevole e molto personalizzata.

Poi è il turno di omaggiare Delaney & Bonnie con il pezzo “The Ghetto” (presente nell’album del 1969 “Accept no substitute”). La versione lascia l’ascoltatore a bocca aperta, ancora una volta la voce della nostra si erge a grande protagonista con una espressività che è tipica di pochi. Si tratta di una ballata lenta per chitarra e voce, brano che da l’esatta misura delle capacità della musicista texana. Il viaggio continua   rispolverando da un album poco considerato come “Stages”, il tradizionale “Death Came A Knockin’ (Travelin’ Shoes)” con un canto leggermente gospel dove il tratto distintivo sono le coriste in sottofondo, mentre il mid-tempo di “Singin’ The Blues”, si evidenzia ancora una volta la magnifica ugola di Ruthie, ben sostenuta dalla band e, soprattutto, dalla batteria in gran spolvero di Tom Brechtlein. C’è da dire che la presenza di una formazione allargata non ha distolto la Foster dalla sua cifra stilistica, anzi ha rafforzato ulteriormente il suo classico gospel-blues-jazz. La dimostrazione viene da una “Runaway Soul” che culmina con un superbo duetto tra Ruthie e il sassofonista Joey Calaruso, seguita da una bella “Woke Up This Morning”, che inizia in modo sommesso, poi la band entra nella canzone con cambiamenti di tono e ritmo, per un arrangiamento da gospel ‘moderno’, mentre “Joy Comes Back” dall’ultimo album in studio, in questa versione “Big Easy” ci fa respirare l’aria antica delle strade di New Orleans.

Il concerto ormai volge al termine, c’è spazio per alcuni classici quali “Phenomenal Woman” in cui non si può fare a meno di percepire la presenza spirituale di Aretha Franklin. Le due ultime tracce sono delle cover: “Fly me to the moon”, un classico dal repertorio di Frank Sinatra, ha un andamento flemmaticamente jazz, mentre “Mack the knife”, canzone simbolo del dramma teatrale “L’Opera Da Tre Soldi” di Brecht e Weill, nota nella versione di Louis Armstrong e non solo (Bobby Darin, Ella Fitzgerald, Tony Bennet e non so quanti altri), vede i fiati accompagnare la voce in modo carezzevole in una resa jazzata dalla musicalità stupenda.

È finito, sembra di essere presenti in sala con il pubblico che tributa tutta la band con ovazioni e applausi. Cala il sipario su un disco struggente che ci riporta ai grandi album dal vivo degli anni ’70, mi unisco anch’io all’applauso degli spettatori!!!


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