PAUL McCARTNEY: “III” cover albumCome fece in occasione di “McCartney” (1970) e di “McCartney II” (1980), anche in “McCartney III” Paul McCartney fa tutto da solo, contrapponendo al suono lussureggiante del precedente “Egypt Station” un disco minimalista e dalle sonorità essenziali che rifugge in buona parte dal pop più classico dell’ex Beatles preferendo esprimersi in linguaggi musicali ispirati al folk, al blues, al soul e al rock and roll delle origini. Sorprendono soprattutto i quasi 8 minuti e mezzo tra blues, jazz e sperimentalismo di “Deep Deep Feeling”, ma anche altrove il settantottenne musicista di Liverpool non rinuncia a esplorare strade da lui poco frequentate mai dimenticandosi comunque di essere un melodista senza pari; la conclusiva “Winter Bird” risale al 1992 ed è stata prodotta da George Martin.

È comunemente accettato con qualsiasi innovazione nella musica popolare che i Beatles l’abbiano fatto per primi – dai video musicali surreali alle brutte rotture – ma il ‘chamber pop’? Sicuramente i cantautori di maggior successo di tutti i tempi non hanno aperto la strada alla tendenza attuale per i musicisti bloccati che sperimentano sotto i loro piumoni?

Eppure è così. Dai un’occhiata all’album di debutto da solista di Paul McCartney, pubblicato un mese prima che i Beatles dessero un ultimo addio con “Let It Be” nel 1970, e si intitola semplicemente “McCartney”. I tratti distintivi sono tutti lì: un uomo che suona ogni strumento, brevi canzoni e un’atmosfera lo-fi abbozzata. È musica senza aspettative e di conseguenza affascinante.

Lo ha fatto di nuovo su “McCartney II” un decennio dopo, questa volta scherzando con l’elettronica per inventare una delle sue canzoni più strane: l’inaspettato “Temporary Secretary”, che nel futuro divenne uno dei pezzi preferiti dai dancefloor. L’elemento comune era il tempo da solo, nel 1970 dopo che i Beatles si erano sciolti e nel 1980 mentre i Wings si stavano sciogliendo.

Quarant’anni dopo, all’età di 78 anni, con un tour mondiale che includeva uno spazio come headliner a Glanstonbury finito nella spazzatura. Infine, completando la sua trilogia con “McCartney III”, i fan potrebbero aspettarsi qualcosa di più strano di quanto effettivamente ottengano grazie alle associazioni di quel titolo. Le canzoni qui sono finemente realizzate, in quel modo semplice con melodia davanti e al centro, e oltre a permettersi di rimanere bloccato in un lungo groove negli otto minuti di “Deep Deep Feeling”, non si spinge mai troppo sullo stile tradizionale della classica canzone pop.

Suona di nuovo tutto, sovrapponendo la propria voce alle pipe e alla chitarra metallica di “Long Tailed Winter Bird”. Il riff montuoso di “Slidin’” suona molto lontano dalla qualità graffiante delle tipiche registrazioni casalinghe, ma nessuno si aspetterebbe che il McCartney di oggi – che se la gioca con Andrew Lloyd-Webber come musicista più ricco della ‘Sunday Times Rich List’ – cambierà lo stendibiancheria in modo che possa sfruttare gli effetti eco unici dell’armadio arieggiato. Eppure, anche con un suono così ricco e pieno, la sensazione generale è rilassata, a ruota libera e divertente. Non gli importa se ridiamo dei suoi testi, che menzionano i dinosauri e Babbo Natale nel caloroso e ottimista “Seize the Day”, e troviamo un parente di “Polythene Pam” e “Lovely Rita” sul blues rock di “Lavatory Lil”. Si sta divertendo a bussare per casa, libero da qualsiasi pressione per queste canzoni per unire un’arena, e nel suo modo più attraente!!!


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