La buona notizia è che – nonostante il loro inarrestabile flusso ed il numero sempre più imponente di pubblicazioni – la band di Dwyer non perde un grammo della propria baldanzosa agilità, alimentando per di più quell’idea di groove che ne sta caratterizzando le ultime sortite. Una sorta di white funk che incrocia le classiche dinamiche kraut, senza mai dimenticare quel nerboruto garage-psych che per anni è stato il loro codice d’ingresso nell’underground che conta. Sempre più progressivi e fuori dagli schemi i nostri non amano le formule ben definite e, ad ogni pubblicazione, innalzano il loro grado di originalità ed esuberanza artistica.
“Protean Threat” è il 23esimo album in studio in 17 anni (meno i normali dischi solisti come Damaged Bug). E i musicologi saluterebbero il suo modo di sfuggire a qualsiasi tipo di routine stilistica e di trattare l’intera storia della musica alternativa – punk, funk, psych, krautrock, prog, metal, art-pop, grunge, shoegaze, synth-pop, probabilmente anche qualcuna non ancora codificata. L’album suona come se Dwyer stesse inseguendo i propri capricci in una sorta di juke-box globale della musica, a volte facendo un rumore furioso, altre raggiungendo vette rare di minimalismo. Per quanto la sua produzione possa a volte sembrare estenuante, la sua coerenza è praticamente impeccabile, e questo è in mostra ancora una volta su “Protean Threat”.
Che stiano suonando come i Wire trascinati in un tritacarne da un maniacale Captain Beefheart come in “Dreary Nonsense” o che cadano in solchi di basso soul attraverso tamburi balbettanti in “If I Had My Way”, ciò che è chiaro è che la band non vuole che si sappia cosa succederà dopo. Qui sta il fascino.
“Terminal Jape”, una traccia eccezionale, è un lamento funebre psych metal che ti colpisce in faccia, ma non ne rimane traccia nella follia spaziale e rock vorticoso di “Wing Run”, uno strumentale che dovrebbe essere la colonna sonora di un viaggio acido replica di “Tomorrow’s World”. C’è una chiara influenza Krautrock in canzoni come “Upbeat Ritual”.
Il brano di chiusura, “Persuaders Up!”, è un perfetto esempio della traiettoria che Dwyer e le sue coorti hanno intrapreso nel corso dei loro 23 album. Non suona per niente come hanno fatto in passato, eppure, allo stesso tempo, risulta come qualcosa che solo loro potevano produrre. Sono quei colpi di scena ossimorici che rendono Osees una delizia da ascoltare ogni volta, mentre si alimentano attraverso la loro miscela di disordinato psycopunk- garage e ti lanciano addosso tutto il possibile, solo per tenerti curioso ad ogni appuntamento successivo!!!
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