Il nuovo album di Keaton Henson “Monument” è un disco sulla perdita, e sull’affrontare la perdita di coloro che amiamo, raccontata con dettagli incredibilmente sinceri attraverso gli aspetti della nostra vita che gravitano intorno al trauma stesso, sull’amore, l’invecchiamento, il recupero, la vita, visti attraverso il prisma del dolore. È il primo album in studio del cantautore, poeta, artista inglese da “Kindly Now” del 2016.
Il disco iniziò quando, dopo essersi ripreso sia da “Six Lethargies” che dalle circostanze che lo ispirarono, Henson si trasferì da Londra alle terre selvagge della campagna inglese, trascorrendo lunghe giornate fuori a tagliare la legna, occupandosi dei terreni e osservando gli uccelli rapaci che volavano in alto. Fu da questo remoto avamposto che finalmente si sentì pronto a guardare un argomento che aveva evitato per tutta la sua carriera di autore di canzoni; la malattia lunga decenni e la morte imminente di suo padre, che è deceduto due giorni prima che finisse di registrare l’album.
Keaton spiega: ‘Suppongo che sia, in fondo, molto simile al mio primo disco; una raccolta di cose che volevo dire, solo così sono fuori dal mio sistema e non necessariamente per essere ascoltate da qualcun altro. L’ho fatto a casa, per lo più da solo, al suono degli uccelli e dei temporali, a strane ore del giorno e della notte. Ma, una volta registrate le basi, sono stato in qualche modo inaspettatamente raggiunto da un fantastico gruppo di persone, che sono venute per sollevarmi musicalmente sulle loro spalle e portare questi sentimenti non detti su un altro piano in termini di suono’. Queste persone sono arrivate sotto forma di Philip Selway dei Radiohead, che fornisce batteria e percussioni, delle chitarre fornite da Leo Abrahams, dei sassofoni della compositrice Charlotte Harding e ad un certo punto un’intera sezione di archi.
Culmina in un disco che è allo stesso tempo intensamente intimo e vulnerabile, ma porta con sé una fiducia e un’elevazione nel suo linguaggio musicale; la semplice pennellata ravvicinata della chitarra di Henson sollevata su un morbido letto di elettronica e suono di nastro lo-fi, i momenti di gioiosa accettazione punteggiati da tamburi svettanti e fiati, danno quella sensazione di godimento simile a quella che potrebbe essere tuffarsi in una piscina in una calda giornata estiva. C’è un ritorno al consueto folk , agli arrangiamenti minimali, oserei affermare quasi acerbi come agli esordi. Tra tutto spicca “Prayer” e la sua coda strumentale, che ci toglie il respiro e ci permette di abbandonare i nostri sensi verso ciò che è difficile esprimere.
Un’opera di grande sensibilità ed intensità da parte di un talento che riesce ad esprimere il dolore e la malinconia senza deprimere, anzi lasciando intravedere una speranza!!!
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