Se, crescendo, mio figlio svilupperà una passione per la musica si potrà ritenere fortunato ad ereditare un mole di dischi impressionante che spazia tra tutti i generi musicali.
La stessa cosa capitò ad Odetta Hartman, cresciuta a Manhattan tra punk e hip-hop, con un padre che collezionava musica soul ed afrobeat e una madre che, date le sue origini dei Monti Appalachi, aveva una notevole collezione di album country.
Odetta sviluppa così una notevole apertura verso generi diversi senza alcun preconcetto e senza dover distinguere tra stili passati e presenti ed eventualmente futuri.
Nel suo nuovo album, il secondo della discografia, riesce a bilanciare elementi di be-bop, quindi suoni estremamente vecchi, con situazioni molto più moderne. Non si fa mancare anche aspetti più propriamente rurali come folk di una musicalità scarna che sembrano provenire da scoperte sul campo di Alan Lomax.
Si assiste alla presenza di tracce in cui spiccano ballate per voce e banjo (dovrebbe essere lo strumento preferito dalla Hartman), brani di pre-war blues e suoni che utilizzano qualsiasi oggetto possa essere utile per le sue idee (percussioni ricavate da utensili casalinghi e, come contraltare, arrangiamenti digitali).
Un lavoro che ha capacità di sorprendere, che sembra assemblato a caso, ma che possiede un fascino rimarchevole.


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