Dobbiamo essere grati a quest’uomo, che pur avvicinandosi alla soglia dei tre quarti di secolo, continua a regalarci ogni anno due tre dischi di ottima fattura, sia nel caso di raccolte di canzoni nuove, sia nel caso di reperti del passato, più o meno recente.
Certo, non bisogna chiedergli del progetto antologico “Archives Vol. 2”; o meglio, chiedere si può, lui risponde anche dando date di uscita, poi puntualmente pospone.
A dispetto delle vendite calanti, la sua fama non va certo scemando. Anzi, mai come in questi ultimi anni aumentano le cover che altri artisti fanno delle sue canzoni, anche quelle più oscure e meno famose. E poi, diciamolo, “Rockin’ In The Free World” è da trent’anni nel repertorio di tutte le garage-band, di quelle che fanno uso di chitarre (le altre non ci interessano), e anche in quello di molti colleghi affermati, dai Pearl Jam ai Bon Jovi e ai Krokus, da Lucinda Williams a Suzi Quatro.
“Colorado” è l’ultima uscita discografica di Neil Young (perché è di lui che stiamo parlando). Per l’occasione ha riunito i Crazy Horse, a distanza di sette anni dall’ultima volta. Non solo, ma con questo lavoro Neil Young with Crazy Horse festeggiano i 50 anni di carriera: non male, per un manipolo di musicisti sempre considerati assai “poco bravi”.
A Neil Young non verrà mai assegnato il Nobel per la letteratura, ma i testi di “Colorado” trasudano onestà, passione e amore, sbattendoti in faccia la verità in modo crudo e schietto, mentre si parla di sentimenti, di ecologia e di politica.
Apre il tutto “Think Of Me”, che sembra uscire da “Silver & Gold” o “Prairie Wind”, ma l’attitudine sgangherata dello stile dei Crazy Horse si fa subito notare; “She Showed Me Love” è una lunga cavalcata elettrica dominata dal titolo ripetuto più volte come fosse un mantra ossessivo; “Help Me Lose My Mind” (con un coro fantastico) e “Shut It Down” formano la parte più rock, mentre ballate come “Olden Days” (sui bei tempi andati), “Green Is Blue”, “Eternity” (che poggia su un piano da saloon e sulla batteria) e “I Do” entrano di diritto a far parte delle cose musicalmente più dolci e belle dell’intera carriera di Young; “Milky Way” (peccato sfumarla così dopo 5:59) e “Rainbow Of Colors” crescono ascolto dopo ascolto.
Siamo lontani dal capolavoro, ma c’è dell’ottima musica qui dentro.
Le vere noti dolenti riguardano la confezione. “Colorado” esce nella versione compact disc con 10 brani; nella versione in vinile è doppio, ma una facciata è vuota, anche se viene aggiunto un singolo con due pezzi (la versione acustica dal vivo di “Rainbow Of Colors” e “Truth Kills”, questa in studio con i Crazy Horse), non disponibili sul cd e non disponibili per il download (se non dal sito di Young): che senso ha tutto ciò?
Inoltre nello striminzito booklet non sono inclusi i testi. A cosa serve ripetere per dieci volte i credits praticamente uguali delle canzoni? Dal supporto “fisico” si pretende qualcosa in più, che giustifichi anche la spesa maggiore rispetto al download o allo streaming.
Ovviamente ci sarà chi farà i paragoni con i Promise Of The Real, che hanno accompagnato in tempi recenti Young in svariati tour, tre dischi e un film con relativa colonna sonora, oppure con l’ultimo capitolo Crazy Horse, “Psychedelic Pill”, considerato dai fans uno dei suoi album migliori del nuovo millennio, oppure ancora con il catalogo younghiano dei ‘70.
Il chitarrista Frank Sampedro, dal 1975 a fianco di Young nei Crazy Horse e in altri progetti musicali, fa il pensionato alle Hawaii; quindi al suo posto è tornato Nils Lofgren, già in studio più volte con il canadese (ormai prossimo cittadino americano), anche se l’ultima addirittura nel 1982 (però era nella band che accompagnava Neil nell’”Unplugged” del 1993). Resiste, fin dal 1969, la sezione ritmica formata da Billy Talbot e Ralph Molina. Insieme al primo chitarrista Danny Whitten, scomparso nel 1972, sono persone che hanno fatto la storia del rock, creando un suono che è diventato un marchio: direi che questo chiude la questione Promise Of The Real.
La differenza che mi sento di trovare con “Psychedelic Pill” è che, mentre là si sono costruite le canzoni (o almeno una parte di esse) intorno al sound Crazy Horse, qui Young ha portato allo Studio In The Clouds (Telluride, Colorado, ben oltre i 2700 metri di altitudine) i suoi pezzi già presentati in concerto, per poi farli diventare brani del “Cavallo Pazzo”, con l’aiuto del co-produttore John Hanlon e con il ricordo dell’amico manager Elliot Roberts (a lui è dedicato “Colorado”) nella mente e nel cuore.
È vero, la creatività non potrà (no, ovvio che non può) essere quella di quaranta o cinquanta anni fa, ma mai si potrà imputare a Neil Young di fare dischi senza sentimento e senza sincerità. Ha senso, quindi, rivangare ogni volta “Everybody Knows This Is Nowhere” o “Zuma” o “Rust Never Sleeps?” A mio parere no.
Ascoltiamoci con calma “Colorado”, più e più volte, e lasciamolo fluire e crescere dentro di noi, magari mentre ci facciamo “una corsa su una vecchia macchina, lungo la costa, sotto le stelle”
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[Luca “Borderwolf” Vitali]


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