MOSES SUMNEY- “Grӕ”“Grӕ” è il nuovo progetto di Moses Sumney che è uscito in due parti, la prima il 21 febbraio 2020 in digitale, la seconda il 15 maggio 2020 sia in streaming che in formato fisico comprendente l’intero lavoro. L’opera segue a tre anni di distanza “Aromanticism”. Di Moses si parla ormai da tempo e sempre in termini entusiastici. Se un artista viene investito dai migliori aggettivi per descrivere la sua opera è evidente che ci troviamo al cospetto di un talento di livello superiore alla media.

Già solo osservandolo si è consapevoli che sia un personaggio che vive in un mondo proprio, completamente diverso da quello di noi comuni mortali. Ha una presenza angelica, ma al contempo statuaria, coperto di nero dalla testa ai piedi, scultoreo come un marmo di Carrara eppure in possesso d’un eleganza femminea, liquida, sfuggente. Ama la bellezza e gli estremi di una vita artistica appena iniziata. Impressionante la naturalezza con la quale si muove sul palco: manipola il suono tramite una loop station come fosse il direttore di un’orchestra jazz, e impiega senza apparente sforzo un’inusitata estensione vocale per inanellare falsetti ultrasonici che non s’incrinano mai. Un musicista totalmente immerso nella propria Arte, libero come il punk ed elegante come un quartetto d’archi settecentesco. Da un personaggio del genere non può che scaturire un suono d’aliena e incatalogabile bellezza.

Si è rinchiuso da solo per mesi in uno studio scrivendo parecchie canzoni e le ha divise in due album differenti. Ha pennellato melodie travolgenti, ha dato spazio ad una voce che sembra provenire da una dimensione aliena, in grado di controllare con disinvoltura disarmante ogni falsetto, che, badate bene, non è sfoggio di tecnica, ma espressione della sua anima. Il titolo, che significherebbe quella parte dell’animo umano tra il bianco e il nero, ma dal punto di vista dei suoni e dei temi questo disco ha più i crismi dell’esplosione di una scatola di colori. Se “Aromanticism” era spartano e minimalista, il nuovo è espansivo e caleidoscopico, un songwriting mutante nel quale chitarre, arpe, flauti, violini e marchingegni elettronici formano un folklore totalizzante, dal respiro ampio come l’umanità intera. La stranezza consiste nell’averlo fatto uscire in due parti, anche se solo ad ascolto completo l’opera prende davvero forma, tra torrenti sonori e interludi che ne separano idealmente le varie sezioni.

I brani di “Grӕ” sono differenti tra loro, come il primo singolo “Virile”, un viscerale dramma in stile Smashing Pumpkins, ma con il comune denominatore dell’inconfondibile voce di Moses. L’album vanta contributi eccellenti, per non dire stellari. Cos’altro potremmo dire di Daniel Lopatin aka Oneohtrix Point Never che condisce con sapienti incursioni elettroniche di stampo avant il disco? O del fenomenale nuovo portavoce del jazz britannico, il sassofonista Shabaka Hutchings, che recita un ruolo preponderante nel brano” Colouour” ? Il meglio per il meglio in altre parole, perché poi ascolterete anche il basso di Thundercat e James Blake, con cui è stato co-prodotto il brano “Bystanders”. Tutti ingredienti plausibili per introdurvi ad uno dei migliori dischi di questo tempestoso 2020.

Se scorriamo altri pezzi ci accorgiamo quanta diversità e perfezione si riesce a scorgere come nel jazz frantumato di “Gagarin”, nella dolente leggerezza di “Me in 20 years” e nella profonda intimità di “Lucky me”.

Ascoltatelo con profonda attenzione ed immersione perché questa meraviglia saprà durare nel tempo!!!


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