MARY BLACK – ‘No Frontiers’ cover albumIl disco “No Frontiers” del 1989 di Mary Black è a dir poco un capolavoro e, insieme al suo follow-up, “Babes in the Wood” del ’91, è stato registrato dalla cantante irlandese quando era all’apice della sua carriera. L’album è stato per ben 56 settimane in vetta alle classifiche musicali irlandesi ed ha fatto guadagnare all’artista una visibilità internazionale.

Con questo lavoro, la Black continua a prendere le distanze dalla musica tradizionale del proprio paese. Questa volta, tuttavia, ha anche lasciato la scintillante sovra-produzione di “Without the Fanfare”; gli arrangiamenti sono, per volere di una parola migliore, più dignitosi questa volta, e forniscono una soluzione adeguata per la sua voce naturalmente elegante.

Come al solito, molte delle canzoni sono di Jimmy McCarthy, e anche come al solito queste sono tra le più riuscite: “Shuffle of the Buckled” suona come se fosse scritto appositamente per Mary e la title track fa altrettanto buon uso della sua capacità vocale, dolorante, dolce e chiara.

Inevitabilmente, c’è un colpo fuorviante a un classico pop – in questo caso, un arrangiamento vagamente dal sapore latino di “I Say a Little Prayer for You” che è così insanguinato e prosciugato di passione che ascoltarlo sembra un insulto ad Aretha Franklin. La “Fat Valley of Pain” di Noel Brazil è un solido brano di caratura superiore, “The Shadow” di Donagh Long è una rappresentazione silenziosamente potente dell’orrore e della perdita provocati dai problemi secolari dell’Irlanda del Nord. In questo album Black sembra aver preso il controllo delle influenze moderne che invece la avevano intrappolata in “Without the Fanfare”, e il risultato è uno dei suoi lavori più complessi e potenti.

La canzone “No Frontiers” di Jimmy McCarthy è diventata una sorta di classico irlandese, mentre “Past the Point of Rescue” di Mick Hanly è stato definito dal cantante folk americano, Hal Ketchum, «un enorme successo country nel 1991».

Entrambe le tracce sono superbe e le interpretazioni di Mary sono assolutamente straordinarie. “Carolina Rua” di Thom Moore e “Vanities” di Noel Brazil sono pezzi molto famosi, ma sono il più oscuro “Columbus” e l’affascinante “Fat Valley of Pain”, entrambi di Noel, che davvero mostrano tutta la profondità del disco.

A parte i musicisti regolari che suonano per tutta la raccolta, ci sono diversi ospiti. Donal Lunny, che ha prodotto dischi per gruppi come i Capercaillie, suona più volte il sintetizzatore. Mandy Murphy e Tony Davis si occupano dei cori in molte occasioni. Caroline Lavelle, una nota violoncellista, che suona brani di ispirazione celtica e ha registrato album da solista, accompagna in due momenti.

La voce di Black è davvero bella. Cantando con passione e vivacità, dà vita alle composizioni. Questa registrazione è ben costruita, contiene un’eccellente scrittura ed è solida nell’arrangiamento, coronata da un’ugola rara tra gli umani.

“No Frontiers” è un’ottima introduzione alla musica di Mary Black, il giusto mix di folk e contemporaneo ed uno dei migliori album irlandesi degli anni ’80!!!


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