Droneflower è in fiore. La nuova collaborazione tra Marissa Nadler e Stephen Brodsky (Cave In, Mutoid Man), è un vasto ed espansivo esercizio di contrasti. È il suono della guerra tra il brutale e l’etereo, l’oscuro e la luce, il passato e il presente, il reale e l’immaginario.
Brodsky ha incontrato Marissa per la prima volta nel 2014 al Brooklyn’s Saint Vitus Bar quando la vide suonare nel suo tour di luglio, e sono diventati rapidamente amici. Entrambi avevano voglia di esplorare quella tipologia di songwriting che mal si adattava ai loro progetti in essere, e presto si sono entusiasmati alla prospettiva di lavorare insieme. I risultati sono a dir poco favolosi, un disco che mette insieme drone, folk, esoterismi alla 4AD e tanto sacrifico letterale.
Fin dalle prime parole del disco, cantate in modo sofferto dalla Nadler, nel pezzo “For the sun”, riusciamo a comprendere il significato della collaborazione tra i due. Il folk malato della prima si compenetra nell’hardcore di impatto violento del secondo. Il folk e la psichedelia si alternano a rintocchi pianistici (gli strumentali “Space ghost I e II”), momenti melodici pennellati dalla chitarra acustica che conducono ad una sensazione di smaterializzazione (“Watch the time” con il suo andamento circolare, oppure i paesaggi in bianco e nero che sa creare la voce).
La coppia ha dato vita ad arrangiamenti sontuosi come dimostrato in un brano inaspettato quale “Estranged” dei Guns n’ Roses, il momento più alto del lavoro, in cui la voce della nostra riesce a dare nuova linfa ad un testo incentrato sulla solitudine, mentre Stephen segue i cambi di tono rendendo il suono il meno disteso possibile.
Ai nostri non serve altro che un set di synth, due chitarre, elettrica ed acustica, un pianoforte per condurci in un mondo onirico che potrebbe anche far pensare a quel new weird folk che sembrava essere “the next big thing” tre lustri fa!!!
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