È un momento di grandi scoperte nell’ambito della chitarra fingerpicking, anche in campo femminile.
L’ultima in ordine di tempo è Marisa Anderson, non una pivellina perché sono almeno una decina d’anni che suona in questo ambito. Nativa della California del nord, si è trasferita da tempo a Portland dopo aver girovagato gli Stati Uniti in lungo e in largo.
Si muove lungo coordinate che vanno da Elizabeth Cotten, Sandy Bull e, naturalmente, John Fahey. Quindi trame musicali interiori, l’anelito sperimentale e profumi etnici presentati con una visione di stampo psichedelico.
Forte è l’impegno civile della nostra e, sebbene, i suoi lavori siano esclusivamente strumentali non si deve escludere la relazione con il folk urbano, quello unito da una linea che va dal grande Woody Guthrie e arriva ai giorni nostri. Si è sempre battuta per i più deboli, gli emarginati, in difesa dell’ambiente e contro il nucleare.
Il nuovo disco viene stampato dalla Thrill Jockey, che dovrebbe permetterle di avere una distribuzione ed una visibilità più capillare. Nelle dieci tracce che compongono l’album c’è un recupero della tradizione country folk blues a cui si aggiungono elementi estranei come rumorismi, dissonanze, scale mediorientali oppure messicane, elementi di musica classica, non in modo invadente ma calibrato e di gusto. Non mancano improvvisazioni che non portano al di fuori delle scelte stilistiche effettuate.
Un lavoro affascinante e probabilmente il migliore della sua carriera sicuramente il più maturo che richiede attenzione all’ascolto.


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