LAMBCHOP: “Showtunes” cover albumUn nuovo album dei Lambchop è sempre un’ottima notizia, e “Showtunes” lo è particolarmente: un disco scritto e registrato ‘in remoto’ che segna un’ideale uscita da questo anno e mezzo difficilissimo e, come sempre, un passo avanti nell’universo di Kurt Wagner.

Le novità passano in primis dai collaboratori, che rispondono ai nomi di Ryan Olson (Gayngs e Poliça), James McNew degli Yo La Tengo, Jeremy Ferguson che ha registrato e co-prodotto l’album, CJ Camerieri che si è occupato di fiati e arrangiamenti, e non ultimo DJ Twit One. La scrittura del disco deriva in gran parte da una scoperta/infatuazione ‘tecnica’: l’utilizzo di un pianoforte MIDI che ha aperto a Wagner nuove prospettive, permettendogli di allontanarsi dalla chitarra come strumento unico per il songwriting e di avvicinarsi al ‘great american songbook’ attraverso la visione di Randy Newman.

Dopo aver pubblicato quello che è in effetti l’ultimo vero disco del gruppo, “This (is What I Wanted to Tell), Kurt non è rimasto fermo a lungo. Piuttosto che pianificare un lungo tour – che, come intuirete, sarebbe stato comunque cancellato – ha invitato la band a Nashville per registrare una raccolta di cover. Questo è diventato “Trip”, pubblicato verso la fine dello scorso anno. Bene, si scopre che il nostro non è rimasto seduto fermo per molto tempo. C’è già un nuovo album Lambchop arrivato alle nostre orecchie. Si chiama “Showtunes” ed è uscito a maggio. Mentre “Trip” era tutto incentrato su un’idea di insieme, “Showtunes” sembra più come il lavoro di quarantena di Wagner. Ce l’ha fatta da solo, con il contributo di amici lontani di cui sopra. Ciò che ha sempre tenuto insieme il gruppo è l’idea di collettivo aperto, tutti potevano far parte della band (purché si comportassero bene). Il legame, saldo e durevole, deriva dal fatto che sono amici con gusti simili e con l‘apprezzamento delle altrui diversità. È ciò che ha fatto evolvere questa band nel tempo. Con questo approccio, il gruppo è appena diventato più grande con i suoi membri liberi di andare e venire, per far parte della musica come le canzoni e il loro interesse potrebbero consentire. Proprio come all’inizio.

Ora è necessario far intendere che, però, i Lambchop sono in realtà lui e solo lui. È Kurt che scrive i brani per cui dopo attento ascolto il risultato è esattamente come ce lo si sarebbe aspettato senza tutte le frasi delle note stampa sul cosa sia cambiato e sul come sia avvenuto. Il piano si muove scivoloso, la voce avvolgente del crooner che ci parla confidenzialmente e le atmosfere a dipingere toni chiaroscurali. Quello che permette di affermare l’esistenza di variazioni sono i dettagli che appaiono nei pezzi dopo attento ascolto. Se un paragone può essere fatto con la discografia dei nostri a me viene in mente “Is a Woman”: stessa profondità che, a volte, produce dolore, stesso umore.

Wagner si rifà al passato per trovare le soluzioni per il futuro. “A Chef’s Kiss”, che Kurt descrive come ‘una riflessione sulla natura temporale della vita e in definitiva della canzone stessa’. Rumorini qui e la, fiati presentati in fanfara, battiti alla Bon Iver, aperture ariose che sfociano in meraviglia, è come lo svolgersi di un film stupendo che dispiega lentamente tutta la propria poesia.

Ci sono glitch elettronici che permettono alla melodia di esplodere nella magistrale sinfonia di fiati (“Fuku”), disturbi miscelati a notturni chopiniani di “Unknown Man”. Non manca l’autotune (“Blue Leo”) che, nonostante il suo essere così massicciamente presente, riusciamo a sopportare, solo e soltanto, perché è Kurt a proporcelo.

Tutti particolari nuovi che ci rapiscono e ci fanno esclamare quanto i Lambchop siano bravi e non abbiano esaurito la vena artistica e la curiosità!!!


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