JOSEPHINE FOSTER: “No Harm Done” cover albumPubblicato a sorpresa il 27 agosto, “No Harm Done” è il nuovo album di Josephine Foster su Fire Records. Descritto come una «lettera d’amore» recapitata con il consueto artigianato di country, folk & blues, il disco arriva a due anni dal precedente “Faithful Fairy Harmony” ed è frutto di intime session nashvilliane svoltesi in primavera.

Accanto alla folksinger originaria del Colorado (ormai spagnola d’adozione), e al suo «sensually anachronic lyricism» memore della Carter Family, del pre-war folk e di altre anticherie assortite (vedi quel music hall à la Harry Nilsson intitolato “How come, Honeycomb?”), troviamo il sodale Matthew Schneider, qui anche alla pedal steel oltre che alla 12 corde e al basso. Co-produce un’altra frequente collaboratrice della nostra, Andrija Tokic, che ha registrato il disco ai suoi analogici Bomb Shelter studio. Già da anni la nostra ha subito un processo di normalizzazione, ma non ha mai perso la capacità di una scrittura molto originale e personale e, grazie alla voce unica, che è il suo vero e proprio marchio di fabbrica, continua a sfornare opere di grande interesse anche se, probabilmente, non per tutti i gusti e orecchie.

Josephine Foster, nata in Colorado, offre una raccolta rilassata di folk-blues Americana con testi spesso enigmatici. Un esempio calzante è il pezzo acustico di apertura pigramente accompagnata dal piano, “Freemason Drag”, dove canta ‘Jesus / Reborn on Easter: / A Resurrection Erection / Came from the West, but now it’s Eastern / A Universal Conundrum’.

Una crepuscolarità infusa di sensuale devozione che si adagia come un manto quasi psichedelico sulle otto tracce che lo compongono. Si passa dal caldo country di “The Wheel of Fortune”, che parla di destino, alla sensuale ballad “Love Letter” intessuta di pedal steel guitar (il fedele Matthew Schneider), passando per quella che verrebbe da definire dance hall in slow motion in “How Come, Honeycomb?” e la filastrocca in fingerpicking “Leonine”. Ma colpisce la circolarità quasi rituale della conclusiva “Old Saw”, che segna un congedo ebbro da un disco coeso e omogeneo che conferma, ce ne fosse stato bisogno, il talento fuori dal comune di Josephine.

Scritto vent’anni fa, all’incirca nel periodo del suo debutto, impostato su note di chitarra acustica profonde e lunatiche, “Sure Am Devilish” è una sorta di confessionale gospel folk blues e, a mio parere, la vetta della raccolta (‘Non lasciarmi più essere scontroso / Oh, vorrei potrebbe essere una stella, che brilla di tutta la mia luce’).

Un album in cui assaporare e immergersi piuttosto che cercare piaceri immediati, a un certo punto canta ‘Non sarò mai in stagione, maturerò per sempre’; un frutto davvero inebriante!!!


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