“The Practice of Love” è l’album di Jenny Hval che segue l’EP “The Long Sleep” del 2018 e l’album “Blood Bitch” del 2016. Al primo ascolto il nuovo parto risulta il disco più diretto dell’artista norvegese, lontano anni luce dal clima gotico, il gusto per il cinema horror e il sapore di sangue del precedente ‘Blood Bitch’.
“The Practice of Love” è un album sovversivo nella sua gentilezza, differente dal resto delle produzioni di Jenny Hval, ma sempre riconoscibile all’interno della discografia dell’artista. L’album nasce dall’urgenza di comunicare attraverso un linguaggio differente dal solito per esprimere i propri sentimenti, le canzoni di questo lavoro arrivano da un dialogo tra più personaggi. Gli amici e collaboratori Vivian Wang, Laura Jean Englert e Felicia Atkin sono presenti nel disco, contribuendo con le loro voci e conversazioni registrate.
“Il mio ultimo libro parlava di una una teenager arrabbiata con il mondo, furiosa verso le gerarchie. Questo album riscopre la voce di quella teenager 20 anni dopo. Non così arrabbiata, ma ancora lontana dal mainstream e alla ricerca di un posto all’interno della società. “The Practice of Love” parla attraverso varie voci e racconta simultaneamente storie su di me e altre persone. Volevo sviluppare questo nuovo stile con più voci e livelli narrativi all’interno di belle canzoni pop dal mood positivo” – Jenny Hval.
Mi ricordo dei suoi esordi in ambito glitch-folk e l’approdo verso lidi avant-pop con il precedente del 2018. Se fino a poco tempo fa poteva essere una promessa relegata in un mondo musicale ben preciso e di difficile abbandono, ora la possiamo collocare nel cantautorato alternativo come nome rilevante. È chiaro che ora le responsabilità aumentano, non più e non solo buoni dischi e belle performances sul palco. Il talento di Jenny è sicuramente superiore alla norma e questo disco lo conferma. Un’opera maggiormente delicata e soffice, di fruibilità superiore rispetto al recente passato, si potrebbero quasi intravedere potenziali hit sulla falsariga di musicisti quali St. Vincent. “Ashes to Ashes”, brano all’insegna di un art pop in bilico tra acustico, elettrico e sintetico, e “High Alice”, che orienta quelle sonorità su una zuccherosa melodia tinta seppia, fascinazioni spoken dalle parti di Laurie Anderson e scintillanti arpeggi synth pop.
Un album importante che consegna Jenny ad una massa di ascoltatori mainstream, sicuramente un traguardo meritato!!!


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